Silvano Tognacci ci ha incuriosito su Diamanti, riferendone le emozioni. Le intenzioni del film ce le racconta Stefano Giani.
Storie di donne al chiuso di una sartoria, dove si racconta il mondo del cinema da una prospettiva insolita.
Il costume e la sua storia. La moda, insomma. Quella che affascina e seduce il mondo femminile, travagliato da amori tossici, regolarmente etero. Fragilità morali. Sudditanza da sorellanza con scavo familiare, che scoperchia problemi e relazioni sepolte nel passato e, forse, sepolte dal passato. Talvolta però le scorie riemergono. Resuscitano tensioni. Si combattono battaglie senza armi. Si sente l’eco dei problemi sociali di oggi. Piaghe che le lacrime non sanno o non possono lavare.
Diamanti è il miglior film di Ferzan Ozpetek, che raduna un cast quasi totalmente in rosa, eccezion fatta per Stefano Accorsi e Vinicio Marchioni, quest’ultimo col difetto di dover recitare sempre la parte del macho de borgata. Padrone, più che padre, oggi stereotipo odioso agli occhi di molti.
Ozpetek offre un affresco di sensazioni e sentimenti, tentando di dare un tono e un colore all’altra metà del cielo, composita per caratteri e reazioni. Desideri e ambizioni. Speranze e ribellioni.
Qualcuna (Mara Venier) recita se stessa e appare più come un omaggio impercettibile al ruspante essere ciò che si è; altre sono icone del buon senso popolare o del timore reverenziale.
Diamanti è un film garbatamente femminista, che tenta di mettere in primo piano l’universo rosa e le sue sfumature, a metà strada tra la vittima inerte e il vessato che reagisce. Come se ogni donna avesse una cicatrice nel proprio passato. Come se non fosse possibile non averne. E invece è un destino comune. Questo è l’unico neo di un’opera che si stacca dalla produzione prevalente di Ozpetek, restituendo alla ribalta del cinema un pensiero e un regista capace.
Presunto omaggio ipocrita da parte di un omosessuale maschio alle donne – che per qualche motivo lo trovano bizzarramente simpatico -, ennesimo filmetto autoreferenziale al mondo del cinema. Se ne può serenamente fare a meno.