Devo davvero molto al francese Raymond Cartier. Non passa praticamente giorno che io non ricordi un fatto storico, un’osservazione concernente la società yankee o un personaggio significativo dei quali egli abbia vergato, a proposito dei quali si sia intrattenuto, in quell’opera di divulgazione fondamentale che resta Le cinquanta Americhe. Altresì, che non rilegga qualche sua pagina.
Raymond Cartier dice che…
Certo, il saggio in questione (preceduto nel 1953, prima dunque che Alaska e Hawaii fossero aggregate all’Unione, da Le quarantotto Americhe) è originalmente datato 1961 e l’immediata, o quasi, edizione italiana Garzanti – che allora subito acquistai e che ancora compulso – risale all’aprile 1962. L’edizione ridotta (390 pagine) apparve nel maggio 1965, col titolo Gli Stati Uniti, sempre da Garzanti.
Ovviamente e per conseguenza, nel mentre all’epoca fotografava al meglio possibile una realtà, è oggi un documento, una mirabile rappresentazione degli States anni ’50 con ampie e pregnanti incursioni nei decenni che li hanno preceduti.
Detroit, Michigan
Uno dei metodi migliori per leggere Le cinquanta Americhe è dedicarsi a uno specifico Stato, magari a una determinata città. Così, tutto volendo per esempio conoscere in merito alle origini, all’affermazione e alla prima grave crisi dell’automobile Usa – “la più tipica industria americana”, secondo Cartier – occorre colà leggere del Michigan e di Detroit.
“Stretto” è il significato italiano del nome francese della città, nome che deriva da quello assegnato al fiume sulle rive del quale fu fondata, Rivière du détroit, ovvero, per via della collocazione, Fiume dello stretto. Dal chippewa ‘meicigama’, ‘grande acqua’ con riferimento al lago omonimo, quello dello Stato.
Primo: rischiare
Perché insediare in Michigan ai primi del ‘900 l’industria dell’auto? Perché a Detroit – meta subito di una a tratti convulsa migrazione interna in particolare dal Profondo Sud e soprattutto di neri in cerca di lavoro che colà trovarono – e non invece, magari, in una località del New England? A quel che narra Cartier, perché agli inizi dell’epopea occorreva intraprendere avventurosamente, rischiando.
Buick, Chrysler, Ford
Ai compassati uomini d’affari di Boston e di Providence, in quello specifico ambito, non andava (considerando costoro sostanzialmente l’automobilistica un’industria – quale in effetti era – europea). Cosa che invece fecero nel Middle West giovanotti il cui nome è passato alla Storia: Henry Ford, ovviamente, Davis Buick, Louis Chevrolet (svizzero di La Chaux-de-Fonds), Walter Chrysler, Ransom Eli Olds…
La vita in autostrada
Numeri impressionanti quelli relativi alla produzione americana dell’auto fino agli anni ’50. Non v’era forse la necessità assoluta di collegare uno sterminio di insediamenti urbani grandi, medi, piccoli, di minima consistenza, sparsi per ogni dove nell’Unione? Del tutto, ovviamente, fu la contemporanea costruzione di una vasta e ramificata rete stradale e autostradale a facilitare il boom.
E quanto ci sarebbe da scrivere al riguardo, infinite essendo le difficoltà incontrate per le più varie ragioni nell’attendere all’opera nello sterminato Paese?! E come sarebbe interessante trattare della nascita, nella temperie dei diners, antesignani degli autogrill, dei motel, per connessione dei drive in?!
1959: si cambia
Nel 1952 – dati ufficiali alla mano – la produzione di autoveicoli Usa rappresentava il 73% di quella mondiale. Dei 65 milioni di macchine che giravano nel mondo, 45 lo facevano negli Stati Uniti! Nel 1959, la situazione era radicalmente mutata e l’Europa occidentale – risorgente nel dopoguerra – aveva preso nel campo della produzione il sopravvento abbastanza nettamente.
Oggi bene. Ma domani?
E non solo. Abbiamo sotto gli occhi la recente, terribile crisi dell’auto. Abbiamo visto, vediamo gli effetti di una deleteria mancanza di capacità previsionali. Ci chiediamo come mai quanto occorso nella seconda metà degli anni ’50 nel campo nulla abbia insegnato. Perché la prima gravissima crisi automobilistica è, come accennato, del 1956/1960. Non che abbia avuto le medesime caratteristiche dell’ultima, ma una buona memoria storica avrebbe dovuto rappresentare come sia proprio nei momenti di successo che il pericolo si annunci e le difficoltà dipoi si appalesino.
Grandi, larghe, care
Erano le auto americane allora e da sempre grandi, larghe, care e consumavano allegramente. A fronte delle critiche che qualcuno avanzava, i costruttori replicavano che questo – quei modelli – era quanto i consumatori volevano. L’attacco al monopolio di Detroit fu portato su due fronti. Vi è capitato di vedere Tin Men, film di Barry Levinson del 1987?
Sia pure collocando gli eventi nel 1963, narra dell’arrivo e della affermazione nel mercato della Volkswagen, in particolare del Maggiolino. VW (oggi non solo in patria in crisi) sbarcò in America nei primi del decennio, ma già nel 1956 vendeva colà 50 mila vetture. “Meno che niente”, si dissero i miopi (i “Giganti” erano morti o fuori gioco) dirigenti del settore.
Il padre di Mitt
Il secondo fronte fu aperto da George Wilken Romney (padre di Mitt, nel 2012 candidato sconfitto a White House). Certamente, ma anche personalmente più volte Governatore, ministro con Richard Nixon e sabato scorso insignito al massimo livello, ovviamente post mortem, da Joe Biden, come fondatore dell’ American Motors, che produsse macchine di proporzioni più ragionevoli.
Largo ai Maggiolini
Alla fine di quei benedetti anni, il panorama automobilistico era cambiato negli States. Alle Volkswagen si erano unite le Renault, le Fiat, le Volvo, le Opel, le Peugeot… E quante le Rambler di Romney in circolazione!
Certo, la capitale dell’auto infine reagì, imitando i modelli che – si rese conto – gli acquirenti volevano. Reagì, ma il 30% circa del mercato lo aveva perso!
Vorrei che qualcuno, con la apparente leggerezza e la sottesa forte sostanza di Raymond Cartier, avesse disegnato, disegnasse le Cinquanta Americhe dal 1960 in qua. L’ho fatto io, guardando alle istituzioni. Peraltro non allargando lo sguardo compiutamente al sociale, alle città, alle persone. Compito – uno dei mille – per domani!
Questo sito utilizza cookie per fornirti la migliore esperienza di navigazione. Se continui nella navigazione acconsenti all'uso dei cookie.OkLeggi di più