È riemersa dalle acque come un gigante offeso, di cui ora vediamo, per la prima volta, tutte le ferite. Per oltre venti mesi la nave è rimasta lì, all’Isola del Giglio, da cui era ben visibile la scritta “Costa Concordia”, quasi beffarda nei suoi festosi caratteri azzurri su smalto bianchissimo. Fuori dall’acqua la parte illesa, ancora maestosa nella sua grandezza. Sotto il pelo dell’acqua la tragedia che, all’alba del 14 gennaio 2012, è costata la vita a 32 persone, due ancora disperse. La fiancata, ormai corrotta dal mare, è una carcassa metallica su cui l’impronta dello scoglio è rimasta indelebile. I balconi sono completamente deformati, le cabine lamiere contorte.
Per riportare la nave in asse ci sono volute 30mila tonnellate d’acciaio, quattro volte il peso della Tour Eiffel. Qualcuno ha descritto la piattaforma “salva-Concordia” come un’isola accanto all’isola. Un viluppo mastodontico per un’impresa titanica forse senza pari nella storia: 20 ore di lavoro ininterrotto. “Siamo molto soddisfatti perché le sfide si sono realizzate con precisione e correttezza” ha detto il capo della Protezione civile Franco Gabrielli. “Ringrazio i gigliesi con cui abbiamo condiviso sofferenze e paure”, ha aggiunto, “la loro presenza non é mai stata una presenza ostile ma sempre di affetto e sostegno per il raggiungimento di un obiettivo che questo territorio voleva al di sopra di tutto”. Gabrielli si è assunto da subito la responsabilità, anche in caso di esito negativo, nonostante la natura del progetto fosse quasi esclusivamente privata. Un compito ingrato ma necessario, ora che tutto si è positivamente concluso, per assicurare anche al governo una parte di “gloria”.
Riguardo al traino della nave, che finalmente ne permetterà la rimozione, si dovrà aspettare qualche mese: “Fino a quando non esaminiamo i danni e non abbiamo fatto tutti i calcoli di resistenza della struttura non posso dire quando la Concordia sarà rimossa. Secondo me, non avverrà prima della prossima primavera”. Così Nick Sloane, responsabile per la ditta Titan Savage, cui è stato appaltato il progetto. È lui, sudafricano di 52 anni, il vero protagonista dell’impresa, che ha condotto dall’inizio alla fine. Campione dell’ingegneria navale, ha un curriculum di tutto rispetto, tra cui spiccano recuperi di cargo incendiati nel Golfo di Aden e riparazioni di oleodotti danneggiati in Iraq e in Afghanistan.
Le operazioni si sono svolte grazie a 500 operatori di 26 nazionalità, sotto gli sguardi di 457 giornalisti da tutto il mondo. Forse, questa volta, potranno restituire ai rispettivi paesi un’immagine diversa, non più quella di un’Italia cronicamente affetta da pressapochismo, lassismo e disattenta cialtroneria, ma di tanti italiani impegnati con zelo e dedizione, con fatica ed orgoglio.