“Lo sa quanto scende il pozzo? 2500 metri. Lo ha scavato l’ Agip dal 1956 al 1960. Cercavano petrolio”. Il signor Mauro Rossi dal “suo” pozzo non distoglie mai lo sguardo, neanche quando cerca un po’ di relax e di refrigerio dalla calura estiva all’ombra delle querce di Ponte Grosso, località fra Cagli e Cantiano a due passi da un antico ponte romano ora chiuso al transito e al pubblico.
Lungo le sponde del Burano, fiume placido e dalle acque caraibiche nell’entroterra pesarese, Mauro prosegue la sua attività di ristoratore e di testimone degli eventi legati a quell’ ameno angolo di Marche.
“Ho lavorato molto grazie ad umbri e romani. Qui siamo a metà strada fra chi da Perugia va verso Marotta e chi dalla Capitale raggiunge la Riviera Romagnola. Ho conosciuto i giocatori della Lazio come anche Francesco Totti. Là, lungo quel piccolo letto ora secco, scorreva acqua pura fra il fiume e il pozzo. Un punto che piaceva tanto a Raffaella Carra quando si fermava qui andando verso Pesaro”.
Ma quel pozzo, il Burano 1, non è solo jet set, è la testimonianza del genio e dell’intraprendenza imprenditoriali di Enrico Mattei quando, negli Anni 50, cercava di renderci indipendenti dalle forniture energetiche estere.
“Cercavano il petrolio – spiega Mauro – è invece salita una colonna d’acqua ad altissima pressione”.
Un vecchio documento dell’Agip Mineraria stilato nel 1960 e ora disponibile in rete, fornisce qualche dettaglio come dire… tecnico? del Burano 1.
“Carote di profondità: 132-134 metri, calcare compatto fratturato grigio nocciola. 644.50 metri, calcare grigio scuro con sottili intercapedini di marna nero. 920 metri, calcare dolomitico color beige”. Fino ai 1000 metri la voce “manifestazioni” resta vuota. Dopo i 1000 si registra “odore di H2S (idrogeno solforato, nda)”. Poi, passati i 1300 le prime tracce oleose che, forse, fecero allora sperare in un giacimento. Invece, raschiato letteralmente il fondo a 2397 metri, l’unica annotazione sul documento è “tracce di olio denso”.
Insomma, niente petrolio solo tanta, tantissima acqua.
“Giù c’è un lago enorme, che si estende fino al l’Umbria” spiega Mauro. Vero che il confine con la provincia di Perugia dista pochissimi chilometri, ma l’idea di un grande bacino sotterraneo è comunque affascinante.
La parte superficiale del pozzo e la vecchia pompa che sbuca dall’acqua sono però ben più che ricordi. Proprio per la sua natura di risorsa idrica il Burano 1 viene aperto in situazioni di grave crisi idrica, come accaduto nell’estate del 2021.
Allora si parlava di una portata di 300 litri al secondo, seppure alcuni esperti ascoltati in merito alla reale capacità rigenerativa del pozzo hanno ammesso che i dati a riguardo sarebbero pochi per una stima precisa.
Mauro rammenta che, nel corso delle esondazioni del 2022, il pozzo “rispose” buttando fuori acqua che sarebbe uscita all’altezza della strada, contribuendo ad allagare la zona, compreso il suo locale.
Di acqua, dunque, sembrerebbe essercene ed in abbondanza malgrado il prezioso liquido non sia infinito. Occorrerebbe dunque una soluzione: in superficie, l’agricoltura intensiva russa e kazaka ha portato il Mar d’Aral ad estinguersi. Una catastrofe ambientale che, se non prestiamo attenzione, potrebbe investirei nostri bacini, anche quelli di profondità.
Mauro è il vero guardiano del Burano 1 o forse no, è un amico del gigante silenzioso e che, nel corso degli anni, ha conosciuto ed è diventato amico dei team di ricercatori accademici studiano quello spettacolare tunnel verticale profondo 2 chilometri e mezzo.
Il nostro guardiano ci saluta con parole che ben descrivono l’importanza del Burano 1 (e non solo) e che vogliamo condividere con i lettori:
“La vera emergenza? L’acqua. Perché il petrolio ci fa lavorare, ma solo l’acqua ci fa sopravvivere”.
Bell’articolo