Nel 1969 i miei inizi furono poco diversi: venni anch’io reclutato in un complessino di quelli beat, dopo che mio padre mi aveva comprato, a rate, un “basso elettrico”. Superai così una prova a casa del batterista… Quando trovammo nella McGregor, marchio di abbigliamento, uno sponsor, mi parve di essere quasi un musicista.
E la politica, che poi mi avrebbe conteso alla musica?
In quel 1969 ero pendolare fra casa, a Erba, e liceo, a Como. Se mi avessero chiesto “con chi stai?”, avrei detto di essere fascista. Ma solo perché lo era stato mio padre. Di Evola, di Alianello o di Adriano Romualdi non sapevo nulla.
Per farmi notare – nemmeno il controllore dei biglietti, sul treno, mi notava – trovai un’edicola di stazione che vendeva anche un quotidianino di otto pagine: veniva da Roma, 630 km da Como, e si chiamava Il Secolo d’Italia. Per averlo, al giornalaio dovevo scandire, se non sillabare, l’intera testata, altrimenti mi sarei trovato fra le mani Il Secolo XIX, allora diretto da Piero Ottone, più corposo come quotidiano, ma con cui non avevo molto in comune.
L’Italia di Moro aveva insediato il 1° settembre di quell’anno Gheddafi al potere a Tripoli, che era una buona notizia. Però la stampa neofascista non l’aveva presa come la rivincita di El Alamein, ma come un’umiliazione nazionale, per via dei residui coloni che venivano reimbarcati verso la madrepatria.
L’autunno che cominciava a fine settembre sarebbe poi stato ricordato come “caldo”. Anche a Como, prospera città setaiola, qualche segno di tensione sociale si avvertiva. E poi dalla strage di Dongo era passato solo un quarto di secolo… Nei cortei c’era chi invocava repliche. L’autunno caldo sarebbe sfociato, proprio a Milano, in una strage. E io, col mio “basso-elettrico”, mi sentivo fuori posto…
Nel 1969 già lavoravo all’Olivetti e frequentavo, nei ritagli di tempo l’Università. Torino era immersa nei prodromi dell’autunno caldo. Una somma di follie, di un ribellismo sinistrorso, comunista, maoista e cgiellino che schiudeva le porte al peggio (che sarebbe presto arrivato con le bombe e le BR)… Nulla di buono si prospettava ai miei occhi e…. solo avevo 20 anni!’
In occasione della sua prima visita ufficiale in Italia, nel 2009, Gheddafi si presentò a Ciampino accompagnato dall’anziano figlio di al-Mukhtār, eroe nazionale libico, con appuntata al petto la fotografia che ne ritraeva l’arresto. Fu poi condannato alla pena capitale da Graziani nel 1931.
Peccato che a combattere gli italiani in Libia fossero i senussi, poi detronizzati da Gheddafi, che quindi usurpò la memoria di Omar al Mukhtar senza averne titolo. Che poi la presa del potere di Gheddafi fosse una buona notizia, resta tutto da dimostrare, dato come si comportò con gli italiani e l’Italia, a differenza di re Idris, che pur essendo un senusso non odiò gli italiani e l’Italia.