Questo racconto, pubblicato da Adelphi, fu scritto nel 1926 da uno dei più grandi scrittori nipponici del Novecento, (1899 – 1972), premio Nobel per la letteratura nel 1968 e autore di capolavori come “Il paese delle nevi” (1935-1937) e “Bellezza e tristezza” (1965). Da quest’ultimo romanzo fu pure tratto un film nel 1985 diretto da Joy Felury col titolo inverso, “La tristezza e la bellezza”.
Il racconto, che si legge d’un fiato, è la storia dell’invaghimento d’un giovane studente per la piccola danzatrice incontrata durante il suo vagabondaggio. «Mi ero messo in viaggio verso Izu per scacciare i miei tormenti di ventenne», dichiara ad un certo punto il giovane protagonista. Nel racconto si percepisce subito una dimensione d’attesa, come di qualcosa di lungamente agognato e che comunque si sa di non poter stringere completamente. Ma cos’è questo qualcosa che sublima e dà consistenza alla vita di ciascuno? È la bellezza, col suo dono e la sua fugacità.
Commentando un haiku di Basho, in una delle due conferenze sul tema della bellezza che nel testo di Adelphi seguono il racconto, Yasunari osserva che «L’eleganza è naturalmente legata alle circostanze», la bellezza può cogliersi purché ci siano le circostanze giuste. C’è la predisposizione individuale e ci sono le circostanze favorevoli. E fa un esempio: «Lo Shinkansen che attraversa oggi il Tokaido sarà pure la linea più veloce del mondo, ma a causa di questa velocità il tranquillo piacere di contemplare il paesaggio dal finestrino è andato quasi del tutto perduto». La bellezza, insomma, va colta nel momento in cui si manifesta senza esitazioni. La scrittura di Kawabata Yasunari è leggera, delicata, sognante. Leggendo questo racconto ci parrà di danzare con la piccola danzatrice di Izu.