Sonar Bracchetti e cacciatori aizzare. Titolo bizzarro per un libro di Parole e immagini dell’arte venatoria (Edizioni Settecolori, pp. 256, euro 75) , mutuato dalle rime dantesche (LXI), nel componimento del padre della lingua e della letteratura italiane, prosegue con “lepri levar ed isgridar le genti / e di guinzagli uscir veltri correnti / per belle piagge volgere e imboccare / assai credo che deggia dilettare / libero core e van d’intendimenti”.
Si tratta di un complimento enorme, che Dante rivolge all’attività venatoria, sebbene, più avanti, il poeta affermi che la “selvaggia dilettanza” non sia adatta a un “core gentile”, distraendo quest’ultimo dalla contemplazione della “donna angelicata”.
Quale altro hobby, quale altra umana passione rende il core “libero e van d’intendimenti”, ovvero, scaccia via i cattivi pensieri, ed è talmente coinvolgente da annullare ogni preoccupazione?
Sapegno su Dante
La critica si è interrogata su Dante cacciatore e le risposte non sono univoche. Quelli che propendono per il no, puntano sulla formula dubitativa di “assai credo che…”. Natalino Sapegno pensa, invece, che Dante, da giovane, andasse a caccia. E io sono d’accordo. Intendiamoci, sarebbe ridicolo dichiararsi d’accordo con Sapegno a proposito di Dante. Lui è stato il nostro nume tutelare ai tempi del Liceo e la sua competenza di dantista non si discute. In tema di caccia, però, credo di poter dire la mia. Il modo in cui Dante descrive l’attività venatoria del suo tempo, il vitalismo sfrenato, la carnalità dei suoi pochi versi devono derivare per forza da una conoscenza di prima mano…
L’agricoltore e il grand commis
Forti di questo endorsement dantesco, noi due vecchi amici: io, agricoltore e giornalista, di cognome Modica; l’altro Felice, grand commis d’État, di cognome Assenza, accomunati dalle passione per caccia e letteratura, abbiamo provato a divertirci, mettendo insieme un’antologia di scritti venatori e di grandi quadri dello stesso soggetto.
Alla fine, è venuto fuori un libro d’arte che è una storia della caccia per parole ed immagini. Un piccolo, grande editore, come Manuel Grillo, ha avuto il coraggio di investire e… eccoci qua.
Da cinofilo che adora la caccia col cane da ferma, ho curato principalmente gli autori europei e russi; Assenza si è invece dedicato alla caccia grossa e agli americani. Con l’eccezione di Lansdale, che è mio e ci regala un brano epico, chiaramente ispirato al cinghiale di Erìmantos, una delle fatiche di Eracle… Tra l’altro, Lansdale è l’unico vivente tra gli autori citati.
Beccaccini e beccacce
C’è Lev Tolstoj che, in Anna Karenina, ci regala le pagine più belle mai scritte sulla caccia ai beccaccini e alle beccacce col cane da ferma. Raccontando ciò che passa per la testa della cagna Laska. E, potete credermi, si tratta di pagine immortali e la mia Coco mi assicura di provare le stesse emozioni…
Ivan Turgenev, nelle Memorie di un cacciatore, se ne va a caccia per la Russia zarista e racconta la civiltà contadina dell’epoca, le condizioni della servitù della gleba. È un russo ma pensa come un francese: è a suo modo un rivoluzionario, la sua opera ha i risvolti di un’indagine antropologica.
Don Ciccio Tumeo
E poi Giuseppe Tomasi di Lampedusa, col principe Fabrizio che va caccia con don Ciccio Tumeo, il suo fattore, il solo che, in quel frangente, possa tenergli testa, dimenticando convenzioni sociali e timori reverenziali, perché la caccia annulla queste cose…
C’è Andrea Camilleri, col suo esperanto siciliano nel romanzo d’esordio, che gli portò fortuna e si chiamava, guarda caso, La stagione della caccia.
Guy de Maupassant, coi racconti della beccaccia e le colorite descrizioni di tre bassotti a pelo forte: Pif, Paf e Baffetto. Tre coccodrilli pelosi che, quando non scovano conigli, sono impiegati dai proprietari come scaldapiedi in carrozza…
Nessuna denigrazione
Noi curatori ci siamo divertiti. E ci è piaciuto particolarmente accantonare ogni polemica. Stavolta la caccia non è stata denigrata. Non si trattava di difenderci a colpi di ricorsi al Tar o discussioni accanite. Abbiamo solo mostrato, in piccolissima parte, l’enorme contributo dell’attività venatoria al mondo della cultura.
Un apparato iconografico imponente è infine il tratto distintivo della nostra opera. 116 riproduzioni in quadricromia di altrettante opere famose, scelte secondo un criterio filologico. Faccio alcuni esempi. Dove Ernest Hemingway descrive la caccia nelle paludi venete, abbiamo inserito le illustrazioni di Pietro Longhi (il ciclo denominato “Caccia in valle”), che si trovano alla pinacoteca Querini Stampalia di Venezia e raffigurano la caccia agli acquatici nelle lagune venete in tutte le sue fasi e furono commissionate all’artista dalla famiglia veneziana dei Barbarigo.
Il mio amatissimo Goya
Per la caccia col cane da ferma, abbiamo inserito i capolavori di Alexandre François Desportes, fondatore della pittura animalière, il ritrattista dei cani di Luigi XV. C’è poi tutto il Goya venatorio. Il mio amatissimo Goya, che vidi nel 1996 al museo del Prado, comprando il catalogo completo delle opere in occasione del 250esimo anniversario.
La foto di copertina ritrae un quadro bellissimo, che sarebbe un sogno possedere. Raffigura, in perfetta armonia fra loro, due forme di caccia in realtà incompatibili: quella col cane da ferma (si vedono, a tale proposito, gli antenati di un épagneul breton e una quaglia in volo) e quella alla lepre coi levrieri, che si svolge sullo sfondo, coordinata da una squadra di cavalieri. Ho sempre desiderato di ammirare a piacimento quel quadro. Adesso lo abbiamo messo in copertina e non scappa più…
Caccia, mezzo di gestione
Non penso che quest’antologia, tutta ispirata al passato, intoni il de profundis della caccia. I tempi cambiano, ma ci sarà sempre bisogno dell’azione riequilibratrice dell’uomo in un teatro naturale addomesticato. La caccia allora non è più, certo, necessaria alla sopravvivenza, ma diventa efficace e indispensabile strumento di gestione.
Ma questo libro è una festa, per la mente e per gli occhi e, come detto, non voglio addentrarmi in polemiche…