Chi mi conosce sa bene che non ho mai nutrito molta stima nei confronti di Bernardo Bertolucci, come regista e anche come uomo. In occasione della sua scomparsa, ne espressi le ragioni in un articolo (il Ritratto. Bernardo Bertolucci, regista rosso baciato dalla censura dell’Ultimo Tango) a suo tempo pubblicato su questo sito. Politicamente, era uno di quegli appartenenti all’alta borghesia o alla nobiltà per cui la militanza a sinistra rappresentò una sorta di controassicurazione: se ci fosse stata la rivoluzione proletaria, sarebbero stati risparmiati perché comunisti, se non ci fosse stata, i capitalisti avrebbero ugualmente prodotto e lautamente pagato le loro creazioni artistiche. In questo, rassomigliava a Luchino Visconti, con la differenza che, mentre l’autore di Senso era un grande, cui si possono perdonare molte cose, Bertolucci appartiene con Antonioni, Lizzani e molti altri alla schiera dei sopravvalutati, cui fanno riscontro molti cineasti che non hanno mai ottenuto tutto il successo che avrebbero meritato. Penso a Pietro Germi, emarginato perché non era comunista (ma col Ferroviere aveva rappresentato con rara obiettività le condizioni della classe operaia) o a Valerio Zurlini, alcune delle cui pellicole, da Cronaca familiare all’Ultima notte di quiete, sino al Deserto dei tartari, sono in molti fotogrammi poesia pura.
Se non ho mai apprezzato la maggior parte dei film di Bertolucci, in particolare il prolisso e didascalico Novecento, meno di tutti ho gradito quello che gli ha assicurato una grande quanto immeritata popolarità, ovvero Ultimo tango a Parigi. Non lo volli vedere quando uscì: avevo ormai superato l’età in cui si va al cinema per la ricerca del proibito. Naturalmente, non piansi per il suo sequestro e per il rogo della pellicola decretato dalla suprema corte. Quando, miracolosamente resuscitato dalle ceneri come l’Araba Fenice, lo vidi in televisione, trasmesso con tutti gli onori, mi parve un film più noioso che morboso, più ideologico che erotico. L’aspetto più scandaloso della pellicola non mi pare tanto la famigerata scena del burro, che è stato, insieme alla persecuzione giudiziaria, la vera causa della sua fortuna, ma le parole che Marlon Brando costringe la Schneider a ripetere mentre la sodomizza: una squallida invettiva contro la “sacra famiglia, dove i bambini sono torturati e la volontà è spezzata dalla repressione”. Non a caso in una delle sue ultime interviste Bertolucci ammise di aver voluto con quella pellicola trasporre sul terreno del privato quelli che erano stati i fermenti del Sessantotto e dintorni. Mi fa piacere, comunque, che il mio giudizio sulla pellicola sia stato condiviso da un grande regista come Pier Paolo Pasolini. Dopo aver visto la pellicola, in una proiezione privata, il grande regista disse in faccia a Bertolucci “questo è un film da cinephile, un film da ragazzo viziato, un film tutto fasullo completamente” e troncò l’amicizia con lui. Lo riferì David Grieco, che di Pasolini fu collaboratore in un’intervista reperibile sul sito Today. Dopo aver letto il copione, del resto, anche un grande attore come Belmondo si rifiutò di interpretare il ruolo che sarebbe stato di Marlon Brando, disgustato da quella sceneggiatura da film porno.
Anche per questo, la decisione della Cynémathèque française di rimuovere Ultimo tango dal programma di una retrospettiva su Marlon Brando, per quanto giustificata con problemi di sicurezza, ha suscitato in me sentimenti contrastanti. Da una parte ho provato, lo confesso, il piacere sornione di vedere una pellicola che mezzo secolo fa era stata considerata il simbolo della liberazione sessuale censurata non più dalla magistratura ancora conservatrice degli anni Settanta, ma dalla giustizia sommaria del Me Too. A una riflessione più seria mi induce la consapevolezza che dietro la scena del burro, filosofemi sessantottardi a parte, c’era stato uno stupro, se non materiale, morale. La diciannovenne Maria Schneider ignorava il modo con cui si sarebbe svolta quella violenza, che non era prevista in quelle forme dalla sceneggiatura, e rimase per tutto il resto della sua breve vita segnata da quella sodomizzazione di celluloide. Il fatto che Bertolucci non abbia mai ammesso la scorrettezza del suo comportamento è una conferma del giudizio di Pasolini, che aveva visto in lui un ragazzo viziato.
Certo, ogni minaccia di protesta violenta, come quella che ha indotto a cancellare la proiezione alla Cynémathèque française, suscita preoccupazione. Ma soprattutto rischia di fare mezzo secolo dopo pubblicità a una pellicola meritevole di passare più alla storia della pornografia che a quella della cinematografia. Per questo, consiglio ai cinefili francesi di consolarsi della mancata proiezione con un altro ultimo tango: l’Ultimo tango a Zagarolo, piccolo capolavoro di Nando Cicero e di Franco Franchi, che Goffredo Fofi riteneva più riuscito del film di Bertolucci. Spiace dirlo, ma a volte la parodia supera l’ideologia.
Sono d’accordo, Bertolucci è un regista molto sopravvalutato ; salvo solo il suo film apparentemente più commerciale, “l’ultimo imperatore”,e la colonna sonora de”il te nel deserto”,non sua( è di Sakamoto) ,ma scelta da lui ; volendo si potrebbe aggiungere “Io ballo da sola”, non un film indimenticabile ,ma simpatico…
Non concordo invece con il giudizio su Antonioni, che sicuramente qualche pellicola noiosetta l’ha diretta,ma ha firmato anche almeno un paio di grandi film(“Zabriskie point” pur viziato da un pizzico di ideologia sessantottina, o “Professione: reporter”) e almeno un capolavoro assoluto (la swinging London di “Blow up”).
Poi è vero, Valerio Zurlini è un regista enormemente sottovalutato, tra i migliori italiani, purtroppo venuto a mancare troppo presto….
Comunque ottima analisi di Nistri.