Nel suo discorso di auguri alla classe dirigente italiana, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è apparso tanto lucido quanto nostalgico. Lucido nell’individuare le linee critiche dell’ormai maturo ciclo neo-liberista – scarsa partecipazione democratica, stagnazione economica, concentrazione delle ricchezze, denatalità, spinte oligarchiche, demagogia; nostalgico, nel rammentare le potenzialità, ormai logore, dei principi liberal-democratici, i cardini sovrani degli Stati, la coesione sociale derivante dalla sua formale applicazione.
Forse per la prima volta dopo molti anni di puro ideologismo liberista, la più alta carica dello Stato ammette, con toni professorali ma concreti, i pericoli di un modello sociale evidentemente giunto ad un pericoloso momento di stallo. Lo dice la recessione tedesca, il crollo costante della produzione industriale italiana, le difficoltà monetarie della Lagarde, personaggio di scarsa brillantezza strategica assieme ad Ursula Von der Leyen; lo conferma l’ennesima crisi del sistema francese, il timore per il protezionismo americano e cinese, ma soprattutto le drammatiche conseguenze sociali del modello Argentino di Milei, che se da un lato rende sostenibili i conti pubblici e mitiga la recessione, affidandosi completamente al vincolo esterno, dall’altro aumenta le disparità economiche facendo balzare il tasso di povertà al 53%, record storico.
Insomma si aggira per l’Europa lo spettro non del marxismo, ma di quel banalissimo buon senso che attraversa, soprattutto a destra, la politica europea e che da troppi anni si pone domande piuttosto nette sulla politica monetaria, sulla programmazione industriale, sul livello salariale, senza mai riuscire a mettere a terra una risposta politica realmente attenta al futuro dei paesi del vecchio continente.
Il modello resta quello degli anni ’90: aumentare la produttività senza far crescere salari e domanda interna, travasare ricchezza generazionale senza scontentare l’elettorato anziano, detentore del potere e dei risparmi finanziari; importare masse di giovani lavoratori senza creare caos sociale. Un modello chiaramente distopico che comincia a segnare il passo non soltanto nella prospettiva politica (lo diciamo e scriviamo da decenni) ma finalmente anche nei numeri.
Se ne è accorto Mattarella. Pare, lasciando un poco stupefatti gli astanti, abituati ad una sorta di omertà corporativa che presto dovrà venire meno, lasciando spazio al ritorno della Politica di alto profilo.
Meglio tardi che mai!