Incredibile (se non tenendo conto che in larga parte i risultati – assai benevoli prima verso Joe Biden, poi Kamala Harris – proposti erano falsificati a fini elettorali) che, dopo l’ennesimo fallimento nazionale dei sondaggi sul voto, proprio un sondaggio spieghi la vittoria di Donald Trump. Ma così è, sulla scorta dell’operato della Schoen Cooperman Research, che ha collaborato per la bisogna con la Graduate School of Political Management della George Washington University.
Conclusioni dell’istituto
Quattro anni fa, l’allora candidato Joe Biden ha gestito una campagna basata sui valori, annunciando che stava correndo perché erano in gioco “quelli fondamentali di questa nazione… la nostra stessa democrazia…“.
In molti modi, la vicepresidente Kamala Harris ha gestito una campagna quasi identica. Ma stavolta, in contrasto con le elezioni del 2020, quanti si sono espressi nelle urne erano più interessati a un governo che potesse fare le cose, piuttosto che a un candidato che si impegnava a sostenere o ripristinare la fiducia in istituzioni, che in larga misura gli americani non hanno più.
Mondo reale, non ideale
In definitiva, questo sondaggio post-elettorale chiarisce che gli elettori (con gli indipendenti in buona e più larga parte schierati col tycoon) hanno dato priorità all’efficacia promessa e percepita del repubblicano, piuttosto che a sostenere la democrazia E, scettici sulle istituzioni in generale, si sono dichiarati cautamente ottimisti sul fatto che l’amministrazione in arrivo fornirà soluzioni del mondo reale.
(A ben guardare, ancora e sempre, si coglie negli autori del sondaggio, forse addirittura loro malgrado schierati, una differente considerazione dell’elettorato, che li porta a ritenere meno accettabili, meno nobili, più terra terra infine, le motivazioni dei repubblicani, la qual cosa aiuta grandemente a spiegare i ricordati fallimenti).
Conseguenti articolazioni
Ci si chiede come sia possibile che da quasi un secolo in ogni parte del mondo la più falsa narrazione a favore dei Democratici Usa prevalga sui fatti storici che certificano il contrario. Quale falsissima accezione sia stata data proprio al vocabolo Democrazia.
Si pensi, in questi giorni, alle continue critiche rivolte a Trump, guardando alle scelte che va facendo dei membri del suo futuro governo. L’intero schieramento mediatico semplicemente non riesce a comprendere che è segno di democrazia dare seguito al risultato elettorale.
La maggioranza che si è espressa ha votato sulla base della visione e delle prospettive illustrate e promesse dal tycoon il quale democraticamente deve dare ad esse seguito. Tradirebbe il volere dei più se scegliesse altrimenti, in modo pertanto anti democratico, come i critici media vorrebbero.
Elezioni Usa 1856-2024
(Fondato nel 1854, prima del 1856 il partito repubblicano non poteva competere)
43 campagne elettorali
25 vittorie repubblicane
18 democratiche
Iil Grand Old Party ha governato 24 anni in più e arriverà, col secondo mandato di Trump, certamente a 28.
Presidenti in guerra nel ‘900
(cinque democratici e un repubblicano).
– Prima Guerra mondiale: Woodrow Wilson
– Seconda guerra mondiale: Franklin Delano Roosevelt
– Corea: Harry Truman
– Vietnam: John Kennedy e Lyndon Johnson
– Golfo: George Herbert Bush
– Jugoslavia: Bill Clinton
Il Gop e i diritti civili
Quanto alle azioni in tema di diritti civili:
– Abraham Lincoln, che ha sostanzialmente abolito la schiavitù, era repubblicano
– Earl Warren, a capo della Corte Suprema che ha combattuto la segregazione razziale, era repubblicano
– Dwight Eisenhower, che ha inviato la Guardia Nazionale negli Stati del Sud, governati da democratici, perché le sentenze della Corte Suprema fossero applicate, era repubblicano
– George Walker Bush, che ha nominato Segretario di Stato i soli due neri che abbiano ricoperto l’alto incarico, Colin Powell e Condoleezza Rice, era repubblicano.
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