Sincero, chiaro, con un suo senso netto. È tutto questo Numero 32 Romanzomaggio alla Voce della Fogna, libro autoprodotto da un gruppo di ormai maturi signori, in gioventù tra gli anni ’70 ed ’80 militanti del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile dell’Msi.
Siamo a Latina ed uno di loro riunisce i vecchi sodali per provare a riprendere le pubblicazioni de La Voce della Fogna, periodico nato nel mondo giovanile neofascista negli anni ’70, e che ebbe una vita lunga per le pubblicazioni di quel mondo, ben nove anni sino all’uscita del numero 31. Ecco l’obiettivo: dopo tanti anni far uscire il numero 32.
L’iniziativa diventa così il modo per ripensare a quei tempi, per fare un bilancio delle idee e delle iniziative di quella fascia del mondo giovanile neofascista che nutriva simpatia per quel giornaletto irriverente e con attenzione rifletteva sulla propria attività politica, riflessioni che da lì a breve l’avrebbero portata a dar vita a quel movimento di idee che fu definito Nuova Destra. Dall’esame del proprio passato passano poi ad affrontare il presente con i suoi temi più pressanti, è inevitabile dovendo scrivere per il nuovo numero, e si accorgono ben presto che le analisi, le idee, soprattutto lo spirito di allora siano strumenti ancor ben utili per interpretare la contemporaneità.
Negli anni ’70 quel mondo neofascista era per lo più composto da ragazzi che si sentivano i reduci sconfitti di una guerra che per motivi anagrafici non avevano neppure potuto combattere, e forte era il sentimento di fedeltà al fascismo. Il fatto era però che ognuno di loro aveva un suo “fascismo” personale, scelto soprattutto con il cuore, i riferimenti ispiratori erano così i più disparati, da Codreanu a Degrelle, dalla Falange e dal Carlismo sino alle Waffen, a Evola o alla nostalgia per i Borbone. Insomma, ideali politici che avevano spesso tra loro pochi punti in comune, e quasi tutti ben poco a che fare con il fascismo vero, quello storico. La conseguenza era l’impossibilità inevitabile di costruire su quelle basi un progetto politico che potesse avere una prospettiva, di contro ben forte era il legame tra loro, uniti soprattutto da un sentimento di solidarietà per essere comunque tutti “contro” quel mondo che stava vincendo, il vincolo era poi rafforzato da un collante fortissimo, l’anticomunismo.
Il disagio che nasceva così dall’essere sempre più consapevoli che il proprio impegno politico, spesso totalizzante, si riducesse inevitabilmente nell’essere fine a stesso, li portò alla ricerca di una strada, per usare un’espressione di allora, che li facesse uscire dal “tunnel buio del neofascismo”, cercando invece di entrare da protagonisti nella contemporaneità, per individuare orizzonti di una modernità ben diversa però da quella imperante. Nacque così la Nuova Destra, chiaramente ispirata alla Novelle Droite di Alain De Benoist, che in anni in cui purtroppo la lotta politica troppo spesso si intrecciava con fatti di sangue, dette vita ad innumerevoli espressioni di grande creatività e vitalità.
I protagonisti della storia, gli Aristoratti come si autodefiniscono, vanno così a rileggere quanto scritto allora, e si accorgono con un po’ con stupore, ma anche con malcelata soddisfazione, di come quelle analisi avessero un loro fondamento e soprattutto di come ancor oggi, a distanza di tanti anni, conservassero una freschezza che non può che regalare un sorriso a chi fino ad oggi ha percorso un cammino di coerenza con quelle idee, quelle posizioni, quegli atteggiamenti
Uno dopo l’altro, ci vengono presentati gli articoli prodotti per il nuovo numero de La Voce della Fogna: gli attuali conflitti di guerra, la globalizzazione, l’antifascismo in assenza di fascismo, la storia riscritta “alla Scurati”, l’essere cristiano in un mondo ormai desacralizzato; c’è spazio anche per il ricordo affettuoso verso Aimone Finestra e per il fascino subito, e ora ribadito, dalla meraviglioso scrittura di Louis-Ferdinand Céline. I temi sono i più disparati, ma tutti legati da un filo rosso che li riporta dritti dritti a quello che veniva affermato qualche decennio prima.
Questo è un pregio del libro, ma un po’ intimistico, sicuramente significativo sia per gli autori del romanzo che per chi ha avuto un percorso politico simile al loro, ma in ogni caso difficilmente apprezzabile tra coloro, estranei a quel mondo, che leggeranno il libro.
Il pregio principale di Numero 32, che conferisce sicuramente un senso al libro, è invece quello di ricordare con forza, e dovizia di elementi concreti, che gli anni de La Voce della Fogna, gli Anni di Piombo, non ebbero solo connotazioni sanguinarie, non si svolsero principalmente tra prigioni, aule di giustizia ed ospedali, anzi, tutt’altro. Il quadro di quegli anni è purtroppo quasi sempre raccontato a tinte fosche da certa memorialistica che riduce la lotta politica di allora a quegli atti criminali, ritenuti purtroppo rivoluzionari dall’ingenuità di chi così rovinò la vita propria e altrui senza mai però poi riuscire a spiegarne il senso e la conseguente prospettiva politica. Quegli anni, soprattutto per il mondo giovanile neofascista, furono al contrario un periodo estremamente fecondo di ricerca della costruzione di una diversa modernità e dell’abbandono di posizioni sterili, caratterizzate queste soprattutto da una retorica nostalgica molto utile a tener cementato un piccolo mondo, ma sicuramente prive di qualsiasi senso politico.
Riviste, conferenze, convegni, attività editoriali, i campi Hobbit, l’effervescenza di un mondo riassunta nell’affettuoso ricordo de La voce della Fogna. Non anni di lutti e dolore, ma di entusiasmo, fantasia, voglia di fare, creatività.
Il libro è scritto a più mani, e lo si nota nell’inevitabile discontinuità stilistica della scrittura. Tutto ciò però non provoca alcun disagio al lettore, ma rende invece più nitida quella che è l’essenza del lavoro, non frutto di un singolo, ma espressione del pensiero comune di una generazione.
Un tema non viene toccato in Numero 32: perché quella ventata di novità non ebbe poi efficace influenza nella vita politica concreta? Qui le risposte possono essere tante. La più immediata è che per influire negli scenari politici con un’azione metapolitica è necessario chiamarsi Prezzolini, Marinetti o D’Annunzio, altrimenti diventa dura riuscire ad essere ascoltati. Ma molto più semplicemente forse bisogna prendere atto che i tempi allora non erano ancora maturi per progetti simili, troppi i legami con il passato, anche proprio tra chi voleva essere protagonista di una nuova politica seguendo le rotte della Nuova Destra.
Oggi gli scenari sembrano molto più favorevoli. In tanti di quel mondo hanno infatti reciso, sia a livello emotivo che razionale, qualsiasi legame con quella destra al governo che ha nel suo simbolo la fiamma tricolore. Ce lo fanno capire proprio gli Aristoratti nella conclusione un po’ amara del libro, quando il loro progetto si arena non appena si rendono conto che quel tentativo di ripresa delle pubblicazioni non sia altro che la ricerca di strumentalizzazione a fini personali da parte di un non meglio identificato personaggio della destra di maggioranza governativa.
Ora lo schema destra/sinistra appare sempre più logoro, la sostanziale uniformità delle politiche dei governi dei diversi schieramenti negli ultimi anni stanno lì a confermarcelo. Forse possono davvero iniziare a concretizzarsi azioni che sappiano veramente andare Al di là della Destra e della Sinistra, come recitava la raccolta degli atti di un convegno della Nuova Destra dei primi anni ’80.
E forse la volontà che ha portato a scrivere Numero 32 è frutto di questa consapevolezza, magari anche solo percepita in modo istintivo.
Dumas scrisse Vent’anni dopo, il seguito dei Tre moschettieri. Un bel romanzo, che lessi tanti anni fa in francese, nel Livre de poche. Non so come sia questo libro, che mi riporta ad avventure intellettuali e non, vissute anche da me nel 1974, l’anno forse più buio della destra italiana postbellica. Ma “cinquant’anni dopo” forse sono un po’ troppi. Un sincero omaggio, però, alla memoria di coloro che diedero corpo e anima per dare vita a quella rivista e non ci sono più: Susanna Tre Re e Jacques Marchal.