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Ciao, Leandro! Pensavo che stessi scrivendo versi ed invece ti trovo a giocare col gatto.
- Come vedi, Alice, sono un poeta… Buono, Felix, a forza di farti le unghie sul divano me lo stai rovinando!… dicevo, sono un poeta pentito.
- Non posso crederci.
- È così. Da due anni non scrivo più versi. E intendo continuare.
- E perché?
- Non sai che in Italia, secondo le ultime attendibili stime, ci sono ben tre milioni di scrittori di versi? Ovvero, due presunti poeti ogni cento persone!
- Ed allora?
- Immagina quanta carta sprecata: affastellando libercoli, opuscoli, plaquette, antologie, volumoni tali da far impallidire la Treccani, per di più sfornati a ritmi industriali, e mettendoli in fila, avremmo una muraglia più lunga di quella cinese. Davvero credi che siano tutti poeti?
- Ma la poesia è un bisogno dell’anima, cosa sarebbe la vita senza le emozioni espresse dalla poesia?
- Sì, certo, la poesia, l’arte in generale, è un bisogno fondamentale dell’uomo, ma assai di rado si trova nei testi dei tre milioni di sedicenti poeti. Di poeti, in una nazione, ne nascono poche decine in un secolo, di grandi poeti forse uno in un secolo. Ti sorprendi se ti dico che fanno bene i giovani a scansare quei testi arzigogolati, tortuosi, artificiosi, con una sfilza di mirabolanti concetti e ancor più mirabolanti immagini, che spesso perfino la critica consacra?
- Allora dove trovano la poesia?
- Ritornano alle origini della poesia, quando i versi venivano cantati accompagnati dalla cetra… La trovano nei cantautori piuttosto che nei poeti laureati e paludati alla Zanzotto.
- Ma se tanti si cimentano a scrivere versi… qualcosa vorrà dire.
- Beh, certo, una funzione ce l’hanno…
- È un passatempo.
- Sì, dici bene, è un passatempo, ma non è poesia. È nel migliore dei casi un lavatoio dell’anima. Ti ricordi per caso la poesia “Scherzo” di Giacomo Leopardi?
- In questo momento mi sfugge.
- È un testo delizioso ed ironico. Il poeta immagina di andare nell’officina delle Muse e lì una di loro gli mostra gli strumenti dell’arte. E meravigliandosi che tra questi non ci fosse la lima, la Musa gli risponde: «La lima è consumata; or facciam senza». Il poeta di Recanati parlava dei suoi tempi e stigmatizzava coloro che si dedicavano alla poesia senza conoscere la sineddoche e la sinestesia, senza aver studiato la metrica, senza aver letto nulla di storia e di varia letteratura. Ma non aveva ancora visto la profluvie di testi criptici e l’accozzaglia di parole che si producono al giorno d’oggi. Immagina un po’, come rimarrebbe di stucco.
- C’è da rabbrividire, infatti.
- Molti pensano che la poesia sia facile, che non vada appresa come le altri arti, come invece, che so, la pittura o l’architettura. Scribacchiano versi e si dicono poeti. E fin qui niente di male. Ma poi li stampano, costringono amici e parenti a sottoporsi a noiose presentazioni, declamano fieramente ispirati, partecipano a premi spesso pilotati, collezionano attestati, si cingono il capo d’alloro. In fondo, non fanno che obbedire al loro narcisismo. Ma c’è più poesia in un marà della Patagonia o nel volo d’un cormorano che nei loro testi.
- Pulchrum est paucorum, insomma.
- Sì, Alice, il bello è difficile. I poeti sono troppi e la poesia se ne scappa.
- E pensare che per Natale avevo pensato di regalarti alcuni libri di poesia scelti qua e là in quei supermercati che sono oggi le librerie.
- Stai attenta, Alice, il mio gatto potrebbe farsi le unghie sul tuo vestito.
- Scherzo, Leandro, lo sai.
- Bene, Alice, ascoltiamo un po’ di autentica poesia.
- Cosa mi fai ascoltare?
“Alice guarda i gatti
e i gatti guardano nel sole
mentre il mondo sta girando senza fretta…”.