Londra – Ci prendono a paragone, ma evitano di vantarsi dell’origine della loro capitale, Londinium, edificata dai Romani. Volevano fare tutto da soli, così è stato. Gli rimane il vallo di Adriano, le terme di Bath, mattoni sparsi ovunque targati Roma. Della Romanità non sanno che farsene, rimangono di un’altra pasta. Il loro interesse si traduce in ammirazione, lo dimostrano le pubblicazioni a getto continuo su Cesari, imperatori, re, Roma repubblicana e imperiale e il suo declino. Cercano contatti col loro ex impero, forse per nobilitarlo. Qualche esempio. Lo storico che va per la maggiore, Tom Holland in un’intervista di Melanie McDonogh, sciorina una prospettiva intrigante sugli imperatori di Roma, parlando del suo ultimo libro, Pax:
“Quando si parla della Roma degli imperatori, non c’è nulla di equivalente a quel tipo di autocrazia in Occidente. L’identificazione con Roma è, in parte, perché i romani erano qui. Ma in effetti la loro cultura è lontana da noi. L’atteggiamento nei confronti della violenza, del sesso, era tutto diverso”.
Edward Gibbon, che scrisse Declino e caduta dell’Impero Romano, vedeva i romani come ricchi, sofisticati, colti, cioè in pace. In effetti l’estensione della pace romana – globale e la sua durata sorprendente. Pax parla di come Roma è riuscita a creare questa pace mondiale gestendo un impero fatto di diversità: dalla Scozia all’Egitto all’Arabia. Ovviamente ci furono ribellioni, ma la pace deve essere difesa dalla spada. La Diversità dell’Impero Romano deve avere qualche parallelo con la nostra società,” suggerisce lo storico.“Erano convinti che la loro via fosse la migliore. In generale, non esiste il concetto che l’identità romana sia basata sulla razza. Né tantomeno basato sul colore. C’era un senso di civiltà, che faceva barriera contro la barbarie. È da notare che durante l’intera occupazione della Gran Bretagna non ci fu nessun senatore britannico.”
Su Financial Times del primo ottobre 2023, Martin Wolf: “In Caesar’s shadow: “I democratici sono condannati a scivolare nell’autocrazia? Può l’antichità insegnarci come gestire i despoti? Martin Wolf, su due libri sugli uomini forti che vogliono avere tutto. I due libri sono Big Caesars and Little Caesars di Ferdinand Mount e Emperor of Rome di Mary Beard. Entrambi gettano luce sull’autocrazia, un sistema di governo che la democrazia odierna pensava di essersi lasciato alle spalle per sempre, e la cui essenza è esposta nella magistrale analisi di Beard del mondo dei primi imperatori romani, che sarebbero poi rinati come zar, Kaisers e imperatori della storia europea.
Il punto saliente di Mount è un avvertimento: “Dobbiamo fare del nostro meglio per fermare in tempo il possibile Cesare. Stare attenti ai suoi difetti: il suo implacabile egoismo, la sua mancanza di scrupoli, la sua sconsiderata brutalità, il suo sfarzo scadente. Mentre su Evening Standard, 26 settembre Melanie Mc Donagh: “La repubblica romana era più ammirevole dell’impero romano in termini di etica e costituzione: un buon equilibrio tra plebe, classe media e i “grandi”. Tutta quell’austera virtù romana, e l’eroico Coclite sul ponte Sublicio: questo è repubblicano!”
Quasi c’azzecca Melanie Mc Donagh a individuare la vera grandezza di Roma, che non si identifica tanto con l’Impero ma con la forza primigenia e della Repubblica e con la fierezza del cittadino romano, consapevole di far parte di un’entità al di là della quale c’erano barbarie e caos. Ma non ci siamo ancora. Ad autori e giornalisti albionici, attratti dalla grandezza di Roma, difettano gli strumenti per scavare più a fondo. Qualcosa che non riguarda solo fatti, persone e politica.
Qualcosa magistralmente sondato da un filosofo italiano: “(…) Fu consuetudine dei nostri antenati che il re sia altresì pontefice e sacerdote”, riferisce Servio…i veri sovrani incarnavano stabilmente quella vita, che è “al di là della vita” Il fondamento primo dell’autorità e del diritto dei re e dei capi, ciò per cui essi venivano obbediti, temuti e venerati, nel mondo della Tradizione era essenzialmente questa loro qualità trascendente e non soltanto umana, considerata non come un vuoto modo di fare, ma come una possente e temibile realtà. I re che traggono il loro potere antico dal dio supremo ed hanno ricevuto la vittoria dalle sue mani sono “fari di pace nella tempesta.” Per la funzione regale si presuppone un potere superiore di conoscenza.”
Non è per sterile polemica che mi chiedo: ma gli storici britannici hanno letto le opere di Julius Evola?