Molto prima di Sofia Goggia, Marta Bassino e Debora Compagnoni, prima anche di Alberto Tomba “la Bomba”, c’è stata una generazione di atleti che ha fatto sognare gli appassionati di sci e ha contribuito a rendere slalom e discesa libera popolari in Italia. Erano i ragazzi della Valanga Azzurra e quest’anno ricorre mezzo secolo delle loro vittorie più altisonanti. Si chiamavano Gustavo Thoeni e Piero Gros (nella foto a fianco), Herbert Plank, Paolo De Chiesa, Fausto Radici, Erwin Stricker, Rolando Thoeni, Marcello Varalli, Tino Pietrogiovanna, Franco Bieler e oggi tornano protagonisti con un film documentario di Giovanni Veronesi intitolato proprio così: “ La valanga azzurra”. È stato in programmazione solo per pochi giorni a ottobre ma il 30 dicembre verrà trasmesso da Rai 3 in prima serata.
Oltre ai dieci già citati ce n’erano altri due, la cui carriera si è interrotta bruscamente nel 1975 per una radiazione della Federazione sport invernali che oggi sarebbe assurda e incomprensibile: Giuliano Besson e Stefano Anzi, costretti a ritirarsi dallo sci agonistico a soli 25 anni. Adesso la storia di Besson (ma in parte anche di Anzi) è diventata un libro, scritto dal giornalista torinese Augusto Grandi (per trent’anni al Sole 24 Ore, adesso direttore di Electomagazine) e pubblicato da Cicles Edizioni: “Giuliano Bessson, il ragazzo terribile della Valanga Azzurra” (nella foto sotto).
Non è tanto un testo sull’avventura agonistica del discesista valsusino, quanto una ricostruzione dietro le quinte di quel periodo irripetibile e del mondo dello sci di metà anni Settanta, un ambiente meno professionale di quello odierno ma sicuramente più romantico, ribelle e legato allo sport, anziché al business. Ed è anche un modo per ridare dignità a due ragazzi, Anzi e Besson, che si videro stroncata la carriera dai burocrati federali per aver chiesto, a nome di tutti gli altri, maggior sicurezza più trasparenza sugli introiti pubblicitari: «Volevamo sapere dove finivano i soldi – racconta Besson nel volume – e perché si cercavano accordi con determinati marchi, escludendo gli altri. Chiedevamo che il denaro servisse per una diversa organizzazione della prima squadra, con investimenti tecnici e sui consulenti scientifici».
Richieste più che legittime in uno sport di primo livello, condivise dagli altri atleti della Valanga che sottoscrissero un documento comune. Ma a Roma la rivendicazione non venne presa bene e ne fecero le spese i due “sindacalisti”: Giuliano Besson e il valtellinese Stefano Azzi. Radiati senza possibilità d’appello dalla Federazione e impossibilitati persino a gareggiare sotto altre bandiere, come invece adesso accade di frequente. Di fronte alla punizione esemplare il resto della Valanga fece dietrofront e i due “sindacalisti” non si lasciarono bene con i compagni, dai quali si sentirono traditi. La riabilitazione, dopo una causa in Tribunale, arriverà soltanto dieci anni dopo, troppo tardi per riprendere l’attività agonistica.
A questo punto, come nel film Sliding Doors, per Besson e Anzi si chiude una porta ma se ne apre un’altra. Forti dell’esperienza tecnica e delle conoscenze maturate nel circo dello sci alpini, i due amici decidono di avviare un’attività imprenditoriale: nasce la AnziBesson, azienda che produce tute, accessori e materiale tecnico e che in breve tempo diventa sponsor di svariate nazionali di sci. Così Augusto Grandi descrive il lancio del nuovo marchio, costituito dai cognomi dei due sciatori ribelli: «Una cura assoluta, quasi maniacale, nella scelta dei tessuti, dei materiali, delle innovazioni continue. Dall’altra parte l’esplosione di colori nelle collezioni, proprio nel tentativo di introdurre un nuovo corso nel modo di affrontare lo sci anche da parte del turista occasionale». Un successo rapido e imprevedibile, che nel tempo ha conquistato la partnership di alcune tra le più prestigiose nazionali di sci ai Campionati del Mondo e alle Olimpiadi invernali.
Ma nel libro di Grandi c’è molto più di una puntuale ricostruzione dei fatti dell’epoca e del posteriore trionfo imprenditoriale. Nelle pagine di “Il ragazzo terribile della Valanga Azzurra” si respira l’aria di libertà e improvvisazione degli anni Settanta, quando ogni aspetto della vita era meno programmato, rigido e controllato di oggi; comprese le esistenze private degli atleti azzurri, all’insegna del trinomio sesso, velocità e rock & roll. Compresi eccessi e follie che al giorno d’oggi sarebbero messi al bando in nome della professionalità e della correttezza politica. A cominciare dalla schiera di “groupies” che seguivano la Valanga come se fosse una rock band, concedendosi agli atleti con generosità persino alla vigilia delle gare più importanti; per finire con gli scherzi più atroci ai compagni di squadra e con le fucilate di “Cavallo pazzo” Stricker a una centralina elettrica dello Stelvio, che provocarono un black-out nella zona.
Nel ricostruire la parabola della Valanga Azzurra, Giuliano Besson riconosce i grandi meriti tecnici e umani del direttore tecnico dell’epoca, il francese Bernard Favre, che fra le altre qualità ha avuto il merito di riunire una nazionale divisa in clan: da una parte gli “italiani”, dall’altra i “tedeschi” dell’Alto Adige. «Mangiavamo separati e fra di loro gli altoatesini parlavano solo in tedesco – spiega Besson. Favre, invece, ha imposto tavoli comuni e l’uso della lingua italiana. Ed è servito a cementare l’amicizia e la collaborazione».
grandi, grandi ,grandi hanno con le loro imprese dato una svolta alla crescita dello sci come sport di massa per noi italiani. A parte le polemiche nate dopo l’uscita del film “Valangaa azzurra” credo che in quegli anni si sia creato un gruppo forte ed omogeneo per uno sport che è tutt’altro di gruppo. Non ho ancora letto il libro pubblicato da Giuliano Besson e penso che presto lo farò….però penso che la polemica nata in questo periodo non potrà cancellare le imprese di quella MITICA Valanga Azzurra!!!!! Buon Natale a tutti……e grazie per i ricordi incancellabili di quei mitici anni…Grazie LOUIS.