La Coppa d’Argentina va per la prima volta al Central Córdoba, un piccolo club di provincia che, a dispetto del nome, ha sede nella città del nord di Santiago del Estero. Nella finale secca disputata a Santa Fe, la squadra dei “ferrovieri” ha battuto per 1 a 0 il ben più blasonato Velez Sarsfield di Buenos Aires, che a una giornata da termine è in testa al campionato nazionale ed ha in bacheca dieci titoli argentini, una coppa Libertadores e svariati altri trofei internazionali.
E questo è già motivo di soddisfazione per chi ama il calcio, perché l’affermazione di una outsider al di fuori dei giri milionari dei grandi club è un chiaro sintomo della vitalità dello sport più bello del mondo. Ma la vera notizia è un’altra. L’allenatore che ha fatto vincere il primo trofeo al Central Córdoba è un veterano della guerra delle Falkland/Malvinas, il sessantaduenne Omar De Felippe (nella foto sopra). All’età di vent’anni partì per la guerra che nel 1982 mise di fronte l’Argentina del regime militare morente e la Gran Bretagna della signora Thatcher per il controllo delle lontane isole britanniche, da sempre rivendicate da Buenos Aires.
A quel tempo De Felippe giocava nelle giovanili dell’Huracàn, tuttavia dovette partire per le Malvinas e partecipò alla presa del capoluogo Port Stanley, ribattezzato Puerto Argentino. Nei successivi due mesi di guerra il futuro allenatore affrontò il gelo delle fredde isole dell’Atlantico meridionale e la furiosa reazione degli inglesi, che alla fine riconquistarono l’arcipelago. In un caso De Felippe rischiò anche la morte: «Vivevamo nelle trincee – ha raccontato in un’intervista – e siccome pioggia e neve erano costanti, alla fine si allagavano e dovevamo ripiegare nelle casematte. Quando gli inglesi sferrarono l’attacco finale cercarono di distruggere con gli elicotteri i nostri radar, una notte hanno confuso la nostra casamatta con una postazione radar e ci attaccarono, mentre ci bombardavano dalle navi. Il nostro comandante ci ordinò di uscire per abbattere un elicottero inglese, uscimmo e avanzammo per quindici metri quando all’improvviso arrivò un missile che fece esplodere la fortificazione. Se fossimo rimasti lì dentro saremmo morti».
Dopo la guerra De Felippe ha ripreso a giocare a livello professionistico, maturando una discreta carriera tra Argentina e Colombia; ma è stato in seguito, dopo aver appeso le scarpette al chiodo, che ha raggiunto le maggiori soddisfazioni. «Il calcio mi ha salvato la vita», ha spiegato, raccontando anche di aver affrontato sette anni di difficoltà psicologiche prima di riuscire a elaborare ciò che aveva vissuto in guerra. In ogni caso è sempre stato molto legato alle associazioni di veterani delle Malvinas, che negli ultimi quarant’anni hanno tenuto vivo il ricordo del sacrificio dei molti soldati di leva che parteciparono al conflitto.
Da allenatore dapprima De Felippe ha portato in prima divisione il piccolo Olimpo di Bahia Blanca, poi ha guidato con alterne fortune club di buon livello come Quilmes, Independiente, Newell’s Old Boys, Platense, l’ecuadoriano Emelec e lo stesso Velez Sarsfield. Al Central Córdoba è arrivato lo scorso anno, è riuscito a salvarlo dalla retrocessione e quest’anno ha compiuto l’impresa guidandolo nella cavalcata vittoriosa della Coppa d’Argentina, un titolo che dà anche diritto a partecipare alla prima fase della Coppa Libertadores.
Dopo il trionfo sul Velez, il “soldato De Felippe” (questo il soprannome) ha festeggiato con moderazione, dicendosi molto felice «per essere entrato nella storia di un piccolo club di provincia. Con questa vittoria il Central Córdoba potrà crescere ancora». Ed ha rivolto un pensiero grato alla famiglia, che l’ha sempre sostenuto nei momenti di difficoltà. «Spero che mia figlia mi perdoni – ha detto dopo la partita – nei giorni scorsi non ho potuto partecipare alla cerimonia di consegna del suo diploma perché stavo preparando la finale e non potevo lasciare i ragazzi da soli neppure per un minuto. Mi auguro che anche lei stia festeggiando a distanza per questo trofeo».