Al passaggio dalla civiltà europea tradizionale e l’ingresso nella modernità, con il declino dell’influenza delle Chiese e dei sistemi di governo basati sul privilegio, si assiste a un fenomeno nuovo, puramente moderno: l’emergere della figura dell’Intellettuale Laico. Suo scopo dichiarato è quello di ergersi a guida morale, di riformatore della società finanche degli stessi uomini, per contribuire con la sua persona al progresso generale del genere umano. Pur critico verso ogni Religione rivelata e ogni apparato dottrinale, l’Intellettuale si sentiva investito della sacra missione di redimere le storture dell’umanità non meno del clero verso cui scagliava i suoi strali. Dalla metà del Settecento fino al XX secolo, questi pensatori – siano essi filosofi, artisti, scrittori, registi o economisti – sono riusciti a calamitare intorno a sé masse di discepoli, in alcuni casi assurgendo già in vita allo status di vere e proprie celebrità e guru anche attraverso un implicito processo di canonizzazione, hanno segnato con la loro influenza il pensiero e la cultura degli ultimi duecento anni, vigilando dall’alto del loro intelletto sul corso dei popoli verso il sol dell’avvenire: “Non basta: essi pretesero anche di escogitare delle formule grazie alle quali sarebbe stato possibile trasformare in meglio non solo la struttura della società ma le consuetudini fondamentali degli esseri umani. A differenza dei sacerdoti loro predecessori, essi non erano servitori e interpreti degli déi, ma li sostituivano […]” [cap. 1].
Ma erano davvero esseri così superiori, al di sopra di ogni miseria e ambiguità umane; o da un’altra ottica, quanto in loro della teoria rifletteva la prassi? Questa è la domanda che sorregge questo saggio del 1988 dello storico e giornalista inglese Paul Johnson (1928-2023).
Attraverso una galleria di ritratti al vetriolo, da Rousseau a Chomsky, da Ibsen a Brecht, da Marx a Russell, da Tolstoj a Hemingway fino a Fassbinder, scopriamo così le molte zone oscure, le contraddizioni nella vita di questi profeti secolari, segnate da idiosincrasie, piccole meschinità e ipocrisie, fino al punto di sacrificare intere vite sull’altare delle loro astratte teorie, i loro sistemi o ideologie: “dimostrano […] quanto l’influenza degli intellettuali sia di gran lunga maggiore quando essi, anziché mirare alle utopie politiche, si dedicano all’opera di trasgressione delle regole e delle norme sociali” [cap. 13].
Così, troviamo un Rousseau che mentre predicava quegli ideali di libertà e uguaglian-za umane che avrebbero ispirato la Rivoluzione Francese, visse gran parte della sua vita dilaniato da paranoie e risentimento verso i suoi molti benefattori (oltre che una patologica fissazione per il proprio membro!) [cap.1]; al contempo, abbiamo un Karl Marx che mentre rivendicava l’assoluta scientificità delle sue teorie, non si faceva scrupoli – come dimostrano le indagini di molti studiosi, marxisti e non – ad alterare, snaturare e travisare le fonti originali per adattarle alle sue tesi sulle classi sociali, mentre viveva una crassa vita da borghese mantenuto dai suoi ricchi parenti (per dire: non molti sanno che tra questi ci sia stato anche il ricco industriale olandese Lion Philips, i cui eredi fonderanno la celebre azienda di elettronica, che diventerà uno dei più noti monopoli capitalistici del XX secolo!) [cap. 3] Che dire poi del conte Lev Tolstoj: il grande scrittore, unanimemente ricordato per capolavori immortali quali Guerra e Pace e Anna Karenina e portabandiera nella causa dell’emancipazione dei contadini russi, nello stesso tempo tiranneggiava sulla sua stessa famiglia e sul proprio capitale umano nella proprietà di Jasnaja Poljana, qualora non riuscivano a adeguarsi alle sue nebulose teorie socio-pedagogiche [cap. 5], allo stesso modo in cui Ibsen, autore del capolavoro teatrale Casa di Bambole, vera e propria pietra angolare del movimento femminista moderno, non faceva mistero della sua avversione e disprezzo per le associazioni di suffragette [cap. 4].
Per non parlare di Sartre, che mentre nelle sue opere letterarie e filosofiche enfatizzava l’assoluta libertà e indipendenza dell’individuo da ogni credo e ideologia fondando quell’autentico catechismo laico per le giovani generazioni degli anni Cinquanta e Sessanta che fu l’esistenzialismo, nella sua vita trasse sempre numerosi vantaggi personali dal flirtare con i governi totalitari sia nazista, prima (racconta lo scrittore André Malraux: “Io venivo interrogato dalla Gestapo e intanto Sartre, a Parigi, metteva in scena i suoi lavori con l’autorizzazione della censura tedesca”) che sovietico, nel secondo dopoguerra [cap. 9].
Uno dei pregi principali di questo saggio è la scrittura vivace e ironica, fieramente polemico-iconoclasta, vera e propria cifra stilistica dell’opera dell’autore; egli stesso visse una carriera rocambolesca: proveniente da ambienti di sinistra, occupò il posto di direttore del giornale liberale inglese New Statesmen nella fatale convergenza degli anni Sessanta, per approdare da là in poi a posizioni nettamente conservatrici, fino a diventare assiduo collaboratore del giornale ‘rivale’ Spectator, il quale riesce qui a riunire in un’ottima sintesi la sua duplice natura di cronista (in molti casi, i personaggi di cui tratta erano suoi contemporanei, quindi poteva attingere dalla propria esperienza diretta) alla professionalità documentaria dello storico ricercatore (ritengo un elemento particolarmente meritorio il fatto che faccia ampio riferimento alle testimonianza diretta dei contemporanei delle figure in questione).
Ulteriore elemento interessante è il tentativo che Johnson compie per salvare l’Opera dall’Uomo, a dispetto di quanto fanno molti ‘accademici’ per giustificare, o più comunemente, per demonizzare il lavoro di qualcuno: il paragrafo in cui l’autore scrive un sentito elogio della poesia di Percy B. Shelley è quasi commovente, mentre non fa sconti nel mettere in luce le meschinità e ipocrisie che caratterizzarono la turbolenta vita del poeta inglese.
Un saggio provocatorio, ma che in maniera molto onesta, invita ad un approccio più critico verso questi ‘mostri sacri’ che hanno senza dubbio influenzato nel bene e (spesso) nel male la cultura e la civiltà occidentale, rappresentando di fatto i precursori e patroni di quella casta implicita che sono i cosiddetti radical-chic o rivoluzionari da salotto, secondo la definizione coniata da Tom Wolf nel suo celebre articolo del 1970 che consigliamo vivamente di leggere a complemento di questo saggio [tr. ita.: Radical Chic: L’irresistibile fascino degli intellettuali da salotto, Castelvecchi, 2005] e che ancora oggi rappresentano una potente lobby del sistema culturale occidentale.
Paul Johnson, Gli intellettuali: malefatte, frodi e meschinità da Rousseau a Sartre, Manzoni Editrice, Merone (CO) 2024, 384 pp.
Tutto vero. Ma i popoli più che di libertà hanno bisogno di una guida (almeno che appaia) certa, sicura, ottimista, degna di essere seguita, di credere i suoi stessi sogni ed aspirazioni…