Svuotare Gaza e Cisgiordania, “snellendo” le popolazioni in parte riversate nei campi già predisposti da anni nel Sinai e in Giordania. Poi estendere Erez Israel.
La costituzione dello Stato d’Israele nel 1948 era stata preceduta dalla nascita delle monarchie del Medio Oriente, costituite per contenere le resistenze dei popoli dell’area.
I tentativi arabi degli ultimi decenni per smarcarsi da questa infiltrazione – con la vittoria in Algeria ed Egitto di fronti islamici in elezioni libere e trasparenti – sono sfociati nell’impossibilità di costituire o nel rovesciare governi democraticamente eletti o nell’assassinio dei loro membri. Complementare è stato demonizzare l’Islam da parte della stampa occidentale.
Gli eventi in Siria sono un’ulteriore indice di ciò che si predispone. Non a caso la tregua in Libano – finta, perché i pirati internazionali vi torneranno a breve – è stata accompagnata dall’improvvisa riesumazione dei “ribelli” siriani, accolita di predoni che comprende curdi e ucraini con la maschera dell’islamismo, per raccogliere consensi tra masse non ugualmente ignare degli stessi meccanismi di manipolazione.
Il tempismo è tutto. Già fotografati negli ospedali di Tel Aviv, mentre stringono la mano al macellaio Mileikowsky, i “ribelli” sono pronti a riconoscere Israele appena rimosso l’attuale governo siriano. E hanno scelto il suo con cura il timing. L’indebolimento di Hezbollah dal lato siriano è propedeutico a polverizzare il Libano. Poi il cerchio si chiuderà attorno all’Iran, con qualche incognita in più in questo caso.
Gli eventi sono complessi. Gli attori in ballo tanti e ciascuno con i suoi interessi da perseguire. Nessuno ha la verità in tasca.
Ma quando si palesa la presenza dell’attore principale, tutto diventa più chiaro.
Dimenticavo la Russia. Anche il suo contenimento attraverso la proxy war ucraina è funzionale agli eventi che si susseguono in Medio Oriente con rapidità impressionante, a riprova che tutto viene è pianificato con largo anticipo, secondo un progetto unitario, che lega gli avvenimenti.
La rielezione di Trump, che tanti nel “dissenso” hanno salutato come salvifica, mi è anch’essa propedeutica alla fine della questione palestinese. Ma nel sangue, però.
Trump ha fatto sapere ai gazawi che, se non verranno liberati gli ostaggi entro gennaio, gli Usa scateneranno l’inferno.
“Siamo già nell’inferno – è stata la replica – e che la nostra vita non è un parco-giochi”.