Siamo nel 1946. L’Italia sanguina, in ogni sua parte, per le ferite materiali e morali riportate nei cinque, interminabili anni, della Seconda Guerra Mondiale (1940-1945). Chi è stato il responsabile per antonomasia di quella catastrofe? Dalla sciura di Milano alla cummari di Catania, passando per la sora di Roma, la risposta era unanime, al netto delle immancabili flessioni dialettali: Benito Mussolini. Un Ventennio di fideistiche esaltazioni avevano diffuso del Duce l’immagine di un guru ante litteram, capace perfino di fecondare una donna con la sola forza dello sguardo, come candidamente asseriva Sofia Loren nei panni della casalinga Antonietta Tiberi, dal 1977 divenuta l’archetipo incontrastato della moglie e madre dell’Italia mussoliniana nel film di Ettore Scola, «Una giornata particolare». Improvvisamente, dall’Aprile del 1945, Mussolini diventava il nuovo demonio, catalizzando sulla sua figura gli epiteti più ingiuriosi: Porcùn era il più garbato. Per andare contro la marea montante del nuovo conformismo, con le armi intelligenti del sarcasmo e della ‘fredda’ competenza, bisognava essere seriamente animati da un’impavida follia di erasmiana memoria”. Riproporre nella ‘placida’ Italia del 2024, settantotto anni dopo la prima edizione del ʼ46 e innumerevoli ristampe, uno dei pamphlet tra i più discussi di Indro Montanelli (Il buonuomo Mussolini, Rogas Edizioni, Roma 2024, pp. 125, euro 14,50), equivale a pungere la stragrande maggioranza dei lettori, disciplinati e allineati alla vulgata corrente, che non ha alcun interesse a ribaltare quanto sorbiscono sul “Pelatone” dai programmi televisivi o dagli altri socialmedia.
Uscito per la prima volta in presenza di un cadavere ancora ‘caldo’, il «buonuomo Mussolini» non ha nulla di una iperdettagliata (e talora noiosissima) ricostruzione storica. Grazie ad uno stile sobrio ed essenziale, Montanelli schivava le narrazioni da resa dei conti, che facevano ‘tendenza’ in quel momento. Era sensato definire «Muss» quel «grande imbecille» contro cui tuonava, a giochi fatti, Curzio Malaparte nel 1957? Il ‘toscanaccio’ di Fucecchio aveva già all’epoca un fiuto infallibile per sondare e desecretare la fisionomia di quel carattere, tutto italiano che più italiano non si può, manifestatosi nel capopopolo romagnolo, tutto istinto, caparbietà e schietto machiavellismo. Indro non era certo un ingenuo e sapeva i rischi ai quali sarebbe andato incontro, se avesse raccontato il suo Mussolini senza artifici retorici. La finzione narrativa, da lui astutamente scelta, permise di dire l’indicibile nell’immediato Secondo Dopoguerra. Immaginando di ricevere il testamento di “Sua Eccellenza B.M.” per mano di un prete del comasco, Montanelli disobbediva di proposito alla volontà del testatore, che voleva rendere pubbliche le sue volontà solo nel 1970, a venticinque anni di distanza dal ‘cessate il fuoco’ del 1945. I sette capitoli che compongono il godibilissimo saggio hanno un andamento fulminante, come si conviene a chi scrive sentendo la morte arrivare. Botta e risposta tra il Capo del Governo e Sua Maestà Re Vittorio Emanuele III, soliloqui sulla natura del popolo italiano, annotazioni sulle sbavature di personaggi di primo piano della cultura del tempo, da Missiroli a Longanesi. «Gli italiani sono maligni e sottili. È facile trarli in inganno per cinque minuti; ma, sulla distanza, non vi è al mondo un popolo meno frodabile». Dietro le laconiche considerazioni attribuite dallo scrivente al capo del fascismo, è presente quella considerazione mordace per la mentalità italiota, tutt’altro che provinciale, con la quale era costretto a fare i conti anche chi, tra il 1922 e il 1942, ne era considerato il padrone. A detta di Montanelli, la conoscenza dei vizi e delle virtù degli Italiani, personificati nella sagoma del Duce, era un passaggio obbligato per impedire che le tragedie di ieri, una volta tabuizzate oggi, potessero ripetersi nuovamente domani. Non sono le facili scomuniche a impedirci di cadere in nuove insidie, bensì la conoscenza della nostra storia e delle debolezze umane dei suoi protagonisti, conoscenza tanto più efficace se presentata al lettore con il garbo della finzione narrativa. Parola del giornalista “tricolore” Indro Montanelli.