Milano, 1967. Ricordo Milano con la nebbia, che talora fa rinviare le partite; con gli operai in tuta tra casa e lavoro; con i liceali dai libri sotto il braccio ma stretti da un elastico; gli impiegati in “completo” grigio e cravatta; le canzoni di Mina e Celentano (specie Il ragazzo della via Gluck). Lucio Battisti, come me giunto da poco in città, sta scrivendo Prigioniero del mondo, che uscirà l’anno dopo.
Niente a che fare tra questa Milano da romanzo di Giorgio Scerbanenco e la “Milano da bere” anni ’80. Nel 1967 Bettino Craxi è un prestante trentenne con origini regionali uguali alle mie, che milita nel Psi (io nel Msi). Come me, ma solo per il momento, Craxi è noto solo ai parenti.
Attorno all’Italia, dove la forbice poveri-ricchi sta raggiungendo la soglia critica dell’invidia detta odio di classe, il mondo sta ben peggio. Col pretesto della “teoria del domino”, gli Stati Uniti di Johnson mandavano a combattere in Vietnam chi non andava all’università, cioè i ragazzi di colore, che partivano da ribelli e tornavano da caduti.
Dall’altopiano del Giulan/Golan, gli israeliani cacciavano i siriani; dalla Cisgiordania cacciavano i palestinesi; dal Sinai cacciavano gli egiziani. Gli israeliani e i loro alleati ora si lamentano che gli arabi si siano offesi.
In Bolivia veniva catturato e assassinato l’argentino in prestito a Cuba, Ernesto Guevara, detto “Che”. Aveva tentato di alterare la spartizione del mondo decisa a Yalta. Nemmeno a Pechino l’avevano preso sul serio. Una brutta fine era già successa ad altri. Nel Congo del 1961 a Patrice Lumumba, che aveva preso sul serio la decolonizzazione; nel settembre successivo, sempre per il Congo, a Dag Hammarksjold, segretario dell’Onu.
E l’Italia? E’ un Paese risorto, che ha smaltita la sconfitta militare del 1943 meglio che la sconfitta calcistica del 1966 contro la Corea del Nord.
Nato un 29 febbraio nella “Milano del sud”, nel 1967 mi ritrovo nella Milano del nord, quella vera. Infatti per me, mio padre sogna la carriera forense, quindi auspica un liceo più adatto a formarmi. Mio zio, ex ufficiale di artiglieria, dirige la casa in via Alboino, zona Sempione. come una caserma. Ho l’incarico di aiutarlo in un negozietto. Va bene per me esser parenti, ma vivere a carico suo, no…
Con questo retaggio, oggi guardo i recenti fatti milanesi del quartiere Corvetto, messo a soqquadro da ragazzi arrivati a Milano certo peggio in arnese di me. I quotidiani paragonano il Corvetto alle banlieues di Parigi, Marsiglia, Lione, ecc. Cercando di capire che rivolta vi covi, rIpenso ai Diari di Turner. Nella Milano del 1967 vigeva un ordine spontaneo, quasi uno stile di vita, un’operosità quotidiana. Oggi le migrazioni l’hanno resa simile alle metropoli degli Stati Uniti. Un Vietnam interno, uno dei tanti auspicati da Guevara.
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