Giorgio Colli, filologo e filosofo di grande spessore del nostro Novecento, continua a patire un inspiegabile silenzio da parte delmondo accademico. Noto come curatore dell’opera di Nietzsche e per la sua intensa attività editoriale, la sua proposta teoretica è stata, purtroppo, poco studiata. Negli ultimi anni sono state pubblicate alcune opere del e sul pensatore torinese, dalle quali è possibile cogliere la sua grandezza speculativa e il suo rigore filologico. La cerca colliana è animata da pathos, centrata com’è sul dato esistenziale, sul coinvolgimento dell’uomo Colli. Lo mostra, con tutta evidenza, un volume che raccoglie suoi scritti giovanili, Interiorità ed espressione, nelle librerie per i tipi di Neri Pozza (pp. 222, euro 24,00). Il volume è aperto da uno scritto di Giorgio Agamben, dalla prefazione di Luca Torrente e dalla nota di Maicol Cutrì, entrambi curatori della silloge.
Agamben rileva che, a tutta prima, la scrittura colliana può apparire “scostante”. Il pensatore rinunciò: «a tradurre i suoi concetti nella terminologia della filosofia occidentale» (p. 8). La proposta di Colli è, infatti, un unicum nel panorama filosofico europeo, votata al recupero della dimensione sapienziale e centrata sulla certezza che il filosofo: «è uomo che […] rinuncia a […] farsi capire e, come Eraclito, dà per scontato che “neppure una goccia della sua grande ricchezza sarà usufruita”» (p. 8). Le parole possono, al più, rappresentare il mondo, ma solo il pensiero è in grado di esprimerlo. Conoscere implica vivere una immediatezza extra–rappresentativa, un’intuizione mistica, un contatto, patrimonio esclusivo di chi lo sperimenta. La via colliana è lontana da qualsivoglia logo-centrismo, essendosi sostanziata, come chiarito da Ludovica Boi, da un confronto serrato con il pensiero indiano, Bruno e la mistica di Böhme. Il libro di cui scriviamo conferma tale esegesi. Si tratta di un volume composito, distinto in tre sezioni: A, B, C. Scrive Cutrì: «La nostra raccolta intende completare il progetto iniziato più di dieci anni fa da Enrico Colli, mantenendone l’impronta editoriale di suddividere i materiali (inediti) in scritti compiuti, frammenti di interesse filosofico e appunti personali» (p. 15). Al “piano” del figlio di Giorgio, in questa raccolta, sono stati aggiunti altri inediti di rilievo.
La lettura del testo consente di entrare nei meandri del laboratorio teoretico-filologico giovanile del pensatore e, altresì, di rilevare il tratto umano che lo connotò in profondità, sorto nel confronto con il dolore e con le contingenze storiche in cui egli ebbe in sorte di vivere. Nel 1936-1937, all’età di diciannove anni, il giovaneColli, lo ricorda Torrente, aveva già individuato il plesso centraledella sua visione del mondo: «la vita nella sua concretezza è originaria e sempre più importante del pensiero astratto» (p. 11). La vita, la physis, in cui si dà il Principio, è la custode di ciò che cerchiamo. La filosofia di Colli è pensiero dell’origine in quanto: «la vissutezza è originaria» (p. 11). In un appunto del 1946 la vitastessa viene definita quale: «coincidenza di soggetto e oggetto» (p. 12), il che implica che non può venir conosciuta attraverso le distinzioni concettuali, identitarie. Lo si evince, inoltre, dallo scritto che inaugura la Sezione A, Abbozzo di un sistema filosofico 1936-37, testo organico ed esaustivo, in cui l’individuo èconsiderato parte necessaria del mondo: «la sostanza del mondo trova la sua realizzazione più o meno perfetta nell’individuo che è quindi parte viva di questo tutto» (p. 27). L’individuo, conoscendo se stesso, la propria interiorità, conosce l’Uno-Tutto. La vita-origine non dà luogo solo alle cose, ai fenomeni, ma è scaturigine del pensiero. Fenomeno e noumeno dicono il medesimo.
Colli ha dedotto tale visione dall’esegesi dei Sapienti, da Empedocle, sul quale intrattiene il lettore nello scritto ricordato. Amore e Odio, archai cui guardare, non hanno valore meramente astratto, metafisico, ma si originano dall’interiorità dei Filosofi sovrumani. Le stesse categorie logiche di Necessità e Contingenza, nel vissuto di questi ultimi, erano trascrizione di Gioco e Violenza, della dimensione ludica, eraclitea e dionisiaca della vita. Il logos può recuperare tale dimensione in un iter a ritroso: a essa si può solo alludere in quanto si mostra tra nascosto e manifesto, è fremente e, in uno, immobile. Vengono meno, in tale prospettiva, le distinzioni di tempo ed eternità, di essenza ed esistenza. Negli scritti giovanili, Colli si confronta con il tema dell’ l’organismo e giunge a una sua provvisoria definizione:grumo di rappresentazioni unite dalla comune appartenenza a una stessa interiorità. In ciò è da individuarsi una differenza rispetto alle posizioni mature del pensatore, alla luce delle quali l’organismo si presentava quale: «insieme di rappresentazioni che si raggruppano intorno a un fuoco secondo la sola struttura della rappresentazione» (p. 13). L’espressione, per Colli è: «il modo in cui l’interiorità nella sua totalità […] stabilisce nell’apparenza una sua singola determinazione, facendola valere e ponendola su uno stesso piano di rapporto con la restante realtà» (p. 61).
Altrettanto rilevante il testo, L’idea di giustizia per i Pitagorici. Da esso si comprende che, in questa Scuola: «la giustizia venne intesa come principio di distribuzione proporzionale, principio prettamente aristocratico», in quanto la divina dike doveva realizzarsi nella vita giuridica, nel consesso civile. L’intera Sezione C, in particolare i Taccuini dall’esilio svizzero del 1944, gettano nuova luce sulla modalità in cui Colli guardava alla relazione individuo-storia. Il pensatore fu costretto dal fascismo al volontario esilio per sottrarsi alla chiamata alle armi, ritenendo ingiusta la guerra allora in corso.
Queste pagine sono attraversate dal sentimento della malinconia, a volte espresso liricamente, indotto dal dolore per il distacco dai suoi cari, soprattutto per la lontananza dall’amata noú (la moglie Anna Maria) ma anche per la tragedia bellica in atto. In questi scritti intimi, personali, rapsodici e aforistici, emergono considerazioni che pongono Colli ben oltre i limiti interpretatividella storiografia allora dominante rispetto al dramma in corso. L’attenzione di Colli per la politica ha tratto originale,strettamente connessa alla sua lezione filosofica. Scrive Agamben: «Non si tratta […] di realizzare nella prassi idee e programmi […] ma di mantenere a contatto il pensiero e il mondo» (p. 9). Lezione attualissima: non è casuale che il filosofo Bernard Stiegler abbia definito l’attuale frangente storico, epoca della post-verità. Il pensiero sembra essersi eclissato. Colli, di contro, ha invitato alla pratica della parresia, sollecitando, come testimonia questa silloge, la pratica del “coraggio della verità”.