Durante il Medioevo, l’economia e la spiritualità erano profondamente intrecciate. In un’epoca in cui il commercio era regolato tanto dalle leggi del mercato quanto da disposizioni di natura morale e religiosa, il pensiero cristiano esercitava un’influenza decisiva sulle dinamiche sociali. Mercati, monasteri e corporazioni artigiane coesistevano in un equilibrio che vedeva il profitto decisamente subordinato al bene comune. Almeno, chiaramente, nella proclamazione dei valori. L’idea di una felicità condivisa, radicata nella concezione medievale della comunità, permeava ogni aspetto della vita. Questa visione fu però messa a dura prova nel periodo successivo, soprattutto con l’avvento della cosiddetta Controriforma (meglio ancora sarebbe chiamarla Riforma cattolica).
Luigino Bruni, nel suo saggio “La terra del noi. Ombre e luci dell’economia della Controriforma”, edito quest’anno per Il Mulino, ci conduce attraverso queste trasformazioni storiche, riportando alla luce modelli economici dimenticati ma sorprendentemente attuali. Bruni, economista di fama e docente di Economia politica all’Università Lumsa di Roma, è noto per i suoi studi sull’economia civile e la relazione tra etica ed economia. Autore di numerosi libri, tra cui “L’ethos del mercato”, “Il capitalismo infelice” e “Le imprese del patriarca”, ha dedicato la sua carriera ad esplorare le radici umanistiche dell’economia, con particolare attenzione alla tradizione cristiana e alla scuola economica italiana.
In questo suo ultimo lavoro, Bruni offre strumenti concettuali per ripensare l’economia contemporanea alla luce di una saggezza, per così dire, ‘antica’, spesso trascurata. Uno dei capitoli più significativi del saggio riguarda l’approfondimento sui Monti frumentari francescani. Questi istituti di credito solidale, nati nel tardo Medioevo, rappresentano uno degli esempi più avanzati di finanza etica ante litteram. I Monti frumentari fornivano prestiti di grano ai contadini, che li restituivano dopo il raccolto, senza interessi o con tassi estremamente ridotti. Questo sistema si diffuse in diverse regioni italiane, soprattutto nel Centro e nel Sud, divenendo una vera e propria rete di sostegno economico per le comunità rurali. L’idea di fondo era semplice ma rivoluzionaria: l’economia doveva servire la comunità, non arricchire pochi privilegiati.
I francescani, con la loro avversione per l’usura e il culto della povertà, promossero un modello di credito basato sulla solidarietà e sul mutuo soccorso, in netto contrasto con le logiche speculative del nascente capitalismo mercantile. Ma questo modello seppe produrre, a suo modo, progresso, crescita, ricchezza.
Il movimento francescano fu una delle forze spirituali più influenti del Medioevo. Francesco, come assai noto, rinunciò alle ricchezze familiari per abbracciare una vita di povertà e predicazione. La sua visione dell’economia era radicalmente diversa da quella dominante: il lavoro, più che un mezzo per accumulare ricchezze, era considerato un atto di servizio e di elevazione spirituale. I francescani diffusero questa visione in tutta Europa, fondando conventi che divennero centri di assistenza economica e sociale. Le loro idee influenzarono anche le corporazioni artigiane, che adottarono principi di equità e solidarietà nel regolamentare il lavoro e il commercio.
Bruni sottolinea come questa visione francescana sia in contrasto con un certo individualismo emerso durante la Controriforma. Avviata nel XVI secolo come risposta alla Riforma protestante di Martin Lutero, fu un movimento di rinnovamento interno della Chiesa cattolica, ma anche di consolidamento della sua autorità. Questo periodo è spesso ricordato per il rigore dottrinale e la repressione delle eresie, ma Bruni invita a guardare anche agli aspetti positivi. La Controriforma, seppur nel culto di un io in relazione con Dio e con i propri peccati, promosse infatti un ritorno ai valori morali e una riforma della vita religiosa che ebbe anche importanti ricadute sociali. La creazione di nuove istituzioni caritative e l’impegno nella lotta contro l’usura sono esempi, dunque, di come la Chiesa cercò di rispondere alle sfide economiche dell’epoca.
Tra le iniziative più significative di questo periodo vi fu proprio il consolidamento dei Monti di Pietà, nati per contrastare l’usura dilagante. Questi istituti, sostenuti poi non solo dai francescani ma anche da altre congregazioni religiose, offrivano prestiti ai poveri senza scopo di lucro. L’idea era che il credito non dovesse essere uno strumento di oppressione ma di liberazione.
Questo principio rappresenta una delle radici storiche della dottrina sociale della Chiesa cattolica, che ancora oggi promuove un’economia orientata al bene comune e alla giustizia sociale, naturalmente senza il ricorso alla lotta di classe ma alla cooperazione tra le fasce sociali. Il saggio esplora anche la nascita dell’Economia Civile, una tradizione di pensiero sviluppata nel Settecento italiano da autori importanti come Antonio Genovesi.
Lontana dal capitalismo individualistico, questa visione economica propone un modello basato sulla “pubblica felicità” e sulla cooperazione.
Bruni evidenzia come l’idea di un’economia orientata al bene comune abbia attraversato i secoli, dalle visioni francescane del Medioevo fino al pensiero della Chiesa cattolica anche nella modernità ed alle teorie contemporanee sull’economia sociale di mercato.
“La terra del noi”, in sintesi, invita a riscoprire modelli economici dimenticati ma ancora ricchi di potenzialità. Bruni ci ricorda che esistono alternative concrete alle logiche del profitto sfrenato. Guardando al passato, possiamo trovare ispirazione per costruire un’economia più giusta, solidale e orientata al bene comune. Un’economia cristiana, cattolica, ‘medievale’.