Tra le cose lasciate da mia madre c’è un grosso baule, di cartone pressato, pieno di libri. Come un suo corredo personale. La nostra famiglia aveva subito le traversie del dopoguerra e negli anni a seguire penosi strappi… perfino il suo pianoforte era partito con qualche lacrimuccia! Il grande boom bellico appena digerito e l’altro, quello economico, lontano a venire.
Ma quei libri sono sopravvissuti a queste dolorose sottrazioni e mi incuriosisce l’attaccamento quasi morboso a quelle pagine, ormai reliquie. Chi le aveva riempite e quale il legame tra loro e mia madre, tranquilla signora, e le sue amiche? Dal nome sono donne: quindi a caccia delle autrici!
Ed ecco una certa Amalia nata il 1897 nel comasco. Sfiorata dalla nobiltà per una nonna Odescalchi può vantare un lontano Papa, Innocenzo XI. A soli 17 anni sposa un marchese che ha il doppio dei suoi anni e si stabiliscono a Moneglia, in una villa ombreggiata da alberi di aranci e ulivi. Il comune la onorerà con una cittadinanza alla memoria.
Il matrimonio langue e lei incontra un altro marchese: Vittorio Centurione Scotto, ufficiale della Regia Aereonautica. E, come le sue prossime eroine, si innamora perdutamente. Ahimè il destino, quello tragico, è in agguato. Nel 1926 il prode Icaro si inabissa con il suo idrovolante nel lago di Varese e annega.
Lei aveva già provato a scrivere e vinto un concorso a “Il Secolo XIX” ma è adesso che per sfogare il suo dolore e consolarsi si mette decisamente all’opera. Ed è subito grande successo, edizioni esaurite. L’argomento? Naturalmente velivoli, baldi piloti, e signorine che si innamorano e fanno buoni matrimoni, per lustro e finanza.
C’è il battesimo di D’Annunzio: “A Liala, compagna d’armi e d’insolenza.” E le dona quel pseudonimo perché racchiude l’ala, un rimando agli aviatori, con quello che bucava le nuvole, da lei cantati e venerati.
Era filomonarchica, lo testimonia la croce di Dama della Corona ricevuta da Umberto II. Afferma di scrivere solo il mercoledì e consegnare il giovedì il battuto. Una giornata davvero intensa perché scrive circa 80 libri e vende in Italia 10 milioni di copie! È la fondatrice del romanzo rosa anche se lei, offesa, rifiuta l’appellativo rosa. Per lei le vicende narrate sono lo specchio della vita. Il segreto del successo? Le sue lettrici, morigerate e fedeli spose, madri affettuose, con lei spaziano nel proibito, in intrighi d’amore, amanti e … anche se lei si premura di confermare che i personaggi li accompagna in camera da letto ma poi chiude la porta e resta fuori. Non ci sono esagerazioni intime. (Non così la sua collega Mura!) Alla Chiesa questo non basta, storce il naso e la condanna. Le lettrici sono talmente partecipi alle trame che protestano e impediscono la morte dei protagonisti.
Pietro Sordi sarà il suo nuovo compagno, anche lui è un ufficiale pilota ma costretto a lasciare l’Aereonautica per la convivenza con lei, donna separata. Quando Liala muore indossa un vestito di Valentino, si prepara con estrema cura ed eleganza all’incontro con il suo amato Centurione. Da segnalare la lotta susseguente su chi sia stato il vero ispiratore dei romanzi, se lo Scotto o il Sordi.
La compagna di scrittura Mura ha uno stampo ben diverso, dovuto sicuramente all’infanzia misera. I suoi libri sono bombe che agitano le acque che il regime fascista impone quiete. In “Perfidia” affronta l’amore lesbico, in “Piccola” l’amore acerbo e quindi quasi la pedofilia. Il commento: “toglie il sonno alle lettrici.” Ma quello che provoca un gran trambusto è “Sambadù, amore negro”. Siamo nel 1934 e una donna bianca non può amoreggiare con un negro, anche se laureato a Firenze. Un’enormità! Faccetta nera magari sì, ma non viceversa.
Mura è spalleggiata dal segretario particolare di Sua Eccellenza, Alessandro Chiavolini. Insieme hanno prodotto libri per bambini, uno strano connubio, ma l’appoggio non è sufficiente. Mussolini fa sequestrare il libro forse dimentico che si è cimentato anche lui, agli inizi, con il romanzo d’appendice “Claudia Particella, l’amante del cardinale”, pubblicato in appendice dal Popolo di Trento, diretto da Cesare Battisti. La storia ottenne un successo imprevisto, la tiratura del quotidiano salì alle stelle. Battisti aumentò il compenso da 15 a 25 lire la puntata. Un pamphlet zeppo di violenze e oscenità che l’autore stesso, nei tempi a seguire, definì un libraccio.
Liala e Mura si sono conosciute. Quest’ultima, direttrice de Il Caffaro, giornale genovese, la incoraggia. Ma poi, forte della liaison che ha con il capo dell’editore Sonzogno, la ostacola. È gelosa del suo trionfo, è la conclamata regina di quel genere letterario, ed è bella e ricca. Liala aveva descritto una visita, impellicciata e con la carrozza, alla sua cascina ed era rimasta scioccata dallo squallore.
Ah, “Con Beryl, perdutamente” romanzo incompiuto anche Liala tratta un rapporto black&white, nella storia questa volta il pilota è nero. Si vede che tale evento è radicato, ha radici profonde, nell’inconscio di queste scrittrici. Le rode, le assilla.
La vita tumultuosa della Mura termina in maniera drammatica, muore in un incidente aereo ritornando da Tripoli, dalle parti di Stromboli. È il 1940, aveva 68 anni. Al suo funerale: Amedeo Nazzari, Angelo Rizzoli…
Willy Dias: a lei dobbiamo chiedere scusa per l’apparentamento con Liala e la Mura, ha conosciuto Svevo, Joyce, Kafka. Una muleta triestina venuta a Genova per collaborare a “Il Caffaro”. E il suo avvio come giornalista è notevole, fuori dalle regole. A tal punto da essere cacciata dal giornale per questioni politiche. Si era prontamente adeguata alla situazione esistente annacquando il suo humus. E sfornando due libri all’anno colmi di sentimentalismi, destinati alle solite signorine. Erano nati: il pesco selvatico, il sentiero tra le pietre e così via.
Solo a 73 anni potrà iscriversi al partito comunista, scrivere assiduamente su l’Unità, e risulta anche una sua elezione nel Comune di Genova.
Gli editori che raccoglievano le opere sono: Mondadori, Sonzogno, Salani, sulle copie c’è il timbro a secco in rilievo SIAE.
Ahi, ahi, siamo ai giudizi su questa letteratura rosa definita malevolmente paraletteratura da manicure, da sartine. Il Croce chiama le autrici sprezzantemente le romanzatrici. Sono derise e costrette a subire lo stalking dei critici, naturalmente uomini. Disprezzate e attaccate dalle femministe, dalle suffragette. Specialmente Liala: usano il suo nome per offendere gli scrittori quando li accusano di essere ripetitivi, retorici.
Queste scrittrici coltivavano la fantasia delle donne, donavano sogni, che male facevano? Vendevano parecchio, troppo. Questa forse la ragione che non riuscivano a sopportare e perdonare loro gli autori con la ghirlanda.
A frenare quest’effluvio, almeno in parte, nel 1946 l’editore Del Duca pubblica il “Grand Hotel”. Con le sue figure il fotoromanzo subentra e combatte la parola scritta.
I romanzi rosa continuano imperterriti ad uscire ma quelli moderni sono perlopiù stringhe, quasi formule matematiche. Nell’intreccio gli ingredienti vengono miscelati come in una ricetta di cucina.
Ma anche nella letteratura classica qualcosa è cambiato. Dall’immaginare i protagonisti del libro il fruitore è passato a fantasticare sull’autore. Non si sa chi è, adeguandosi lui ai nostri tempi ambigui, se uomo, donna o gruppo. Chi sei Elena Ferrante? Chissà, il suo negarsi è per salvarsi e non finire in un baule impolverato.
(Immagine da inserire. Su internet ci sono le copertine dei libri di Liala. “Signorsì” è il primo.)