Di Matthew Josephson ricordavo Life Among the Surrealist, in Italia apparso, come Storia di un’avanguardia, in una straordinaria collana di tascabili: “I Gabbiani” del Saggiatore di Alberto Mondadori, figlio di Arnoldo. Prima di introdurvi in copertina un’immagine, la grafica era divisa in fasce di testo da alcuni filetti. L’aveva ideata Anita Klinz, istriana che caratterizzò (con Bob Noorda, Albe Steiner, Mimmo Castellano, Bruno Munari e pochi altri) il design editoriale italiano dagli anni ’50 in poi. Anita Klinz chiamò anche abili e suggestivi disegnatori, come Karel Thole (sue le copertine dei romanzi “Urania”) e Ferenc Pinter a lavorare per Mondadori.
Il titolo Surrealisti ed espatriati, ora attribuito al libro di Josephson nella ristampa della Minimum Fax, è parimenti improprio. Il richiamo agli espatriati ne precisa però il contenuto.
Come nei libri di Malcolm Cowley o di Ernest Hemingway, ben presenti anche loro, l’emigrazione letteraria americana a Parigi – con Cummings, Dos Passos, Gertrude Stein et al. – è affrontata senza psicologismi, ma con psicologica verosimiglianza.
Prima della traversata atlantica, Josephson si sofferma sulle esperienze al newyorkese Greenwich Village. Qui incontra (li incontrerà poi anche a Parigi) Djuna Barnes, Mabel Dodge, militanti dell’IWW, Robert Mc Almon, che a Parigi fonderà le edizioni Contact, e – soprattutto – quell’eccentrico senza fissa dimora di Joe Gould, che in vecchiaia si sarebbe preso gioco dei beatniks. Era Gould l’autore del presunto libro più lungo mai scritto (Storia orale contemporanea), preso sul serio da Marianne Moore, protagonista in alcuni versi di e.e. Cummings e del libro di Joseph Mitchell, Il segreto di Joe Gould (Adelphi, 1994).
Il resto del libro è dedicato a Dada e al Surrealismo, coi caffè di Montparnasse, Tzara, Breton, Soupault, Aragon (antiletterario ma, dice Josephson, “non poteva fare a meno di scrivere come gli uccelli non possono fare a meno di cantare”).
Una parte è appuntata su Berlino, con Benn, Döblin, Carl Einstein e “il distinto scultore russo” Oleksandr Archypenko nella Kaffeehaus frequentata da George Grosz, dove compariva, talora vestito da cow boy.
Dopo questa stagione, che compendiò molto più tardi, nel 1962 col libro in esame e con Infidel in the Temple nel 1967, Josephson si dedicò agli studi storici, influenzato da Charles Austin Beard – specialista di impostazione economicista che, marxiano ma non marxista, Josephson applicò la lotta di classe ai Padri Fondatori della Repubblica americana – pubblicò nel 1934 il formidabile The Robber Barons (portato in Italia da Longanesi nel 1947 col titolo I baroni ladri, sulle carriere dei magnati della gilded age (Morgan, Rockefeller, Carnegie, Vanderbilt ecc.).
Inframmezzati da rari ritorni alla letteratura (Stendhal, Hugo, Rousseau) a questo seguirono altri studin che fecero dell’autore una sorta di portavoce – lui, figlio d’un banchiere! – degli intellettuali scontenti dagli anni della depressione in poi.