Sono nell’atelier del pittore Umberto Storti a Ferno: tra le decine di tele impilate, ora c’è anche la prima copia di Giocattoli dell’anima(pref. di Diego Fusaro, Arca ed., pp. 247, euro 16) sui suoi viaggi animici. “Non anemici”, rassicura con un sorriso Storti. Il suo intento? Proseguire senza sosta un viaggio nell’anima, fuori da tempo e spazio.
Vasto programma? Di qualsiasi cosa io gli parli, Storti riconosce l’origine e la storia nel corso di quello che chiamiamo tempo. Per intendersi: il pittore-scrittore non è un esteta, ha l’aplomb dell’antico guerriero: Ferno come le Termopili, ma a oscurare il cielo non sono nugoli di frecce persiane, ma i velivoli che vanno e vengono dalla Malpensa.
Il batterista Umberto Storti precedeva il pittore Umberto Storti.
“Sì, a 14/15 anni ho cominciato a suonare. Quando ho avuta padronanza della batteria ho abbandonato tutto, scuola e famiglia e ho cominciato a girare il mondo”.
Come Ringo Starr… Aneddoti di allora?
“Ho trascorso momenti molto belli con cantanti e gruppi noti negli anni ‘60/’70: Michele, i Ricchi e Poveri, e tanti altri. Una scuola di vita e musicale molto importante”.
E poi?
“La musica leggera mi è stata stretta. Sono approdato al jazz, tra Londra, Zurigo e Berlino, suonando coi migliori musicisti del momento. Feci poi un concerto a Monza…”.
E…
“… Fu un trionfo”.
Dettagli?
“Mandai tutti in delirio, facendo degli assoli. Riuscii a modulare armonie sui tamburi e sui piatti. Tutti mi abbracciarono e mi manifestarono la loro grande gioia”.
Happy together, allora?
“No. Per invidia non mi fecero più suonare. Per mesi”.
Lei volava troppo alto?
“Forse sì. Comunque qualcosa si era ormai rotto. Dovevo fare altro. Con sofferenza”.
In Italia i critici l’amavano?
“Sì soprattutto il dominus, Arrigo Polillo, che dalla fondazione alla chiusura ha diretto la rivista Musica Jazz”. Lui aveva portato in Italia Ella Fitzgerald e tantissimi jazzisti americani e non solo”.
Quindi lei è stato profeta anche in patria…
“… Ma ero povero in canna, come tutti gli artisti”.
Nascere ricchi aiuta. Ma non gliene faccio una colpia. Continui, la prego.
“Ero riuscito a mettere un po’ di benzina nella mia ‘Mini’ Innocenti, quella degli anni ‘60… Invitai a cena Polillo. La cena andò benissimo: gli feci poi sentire – si era a casa mia – ciò che sapevo fare. Lui strabilio’”.
E gli altri rosicavano?
“Probabilmente, ma in silenzio”.
Finché…
“… Una sera, al Piccolo Teatro di Milano, al termine di un concerto di noti artisti americani, Polillo fa al pubblico il mio nome tra i pochi alla loro altezza”.
Morale?
“Le porte del jazz mi si sono chiuse”.
E non spalancate, come sarebbe stato logico. L’Italia è così.
“Proprio perché Polillo mi aveva dato modo di suonare nei locali cult del jazz milanese e italiano, venni osteggiato. Lo capii dopo il concerto di Monza”.
Il manoscritto dei Canti Orfici di Dino Campana fu occultato da un invidioso. Campana lo scrisse da capo, mentre lei ha cambiato mestiere.
“Mestiere sì, meta no. Sono rimasto in combattimento. Così è nata la mia prima opera: avendo le tele per campo di battaglia. Ho decodificato il senso della mia vita per approdare, poi, all’arte”.
Che cosa intende per arte?
“Una rappresentazione dell’universo e di ciò che vi si integra molecolarmente. Un artista riesce a coglierla proprio nella sofferenza”.
E chi artista non è?
“L’arte ha una funzione taumaturgica universale, che può essere esercitata solo da artisti di buona volontà, vera fede e grande spiritualità”.
Ci sono la pittura figurativa e la pittura astratta, che cosa può nascere, dopo?
“L’arte degli ultimi secoli subisce interferenze, mediate dalla politica e dalla conversione di essa. Decade verso espressioni egotiche, scisse dalle radici profonde dello Spirito”.
Mentre lei…
“… Sono scevro dal miscuglio proteiforme di ogni forma di disgregazione cognitiva, prevalso negli ultimi decenni. Ho valicato l’antimateria per giungere al vero disegno dell’arte pura”.
“Quadro astratto o quadro animico”: dov’è la differenza?
“In una conversione di grande spiritualità attraverso l’anima, che profonde ed offre un disegno quantistico, celebrato dalla coscienza e dalla spiritualità evoluta”.
Mentre l’arte astratta…
“… E’ un disegno ancora materico, non disgregabile, non attaccabile, ma gravata da difetti di pronuncia: l’immagine dell’astrattismo è collocata per molti e da molti in una forma di progress facilitato, di immediata acquisizione, che prende in giro milioni di persone”.
Un critico d’arte che l’ha seguita?
“Vittorio Sgarbi: un rapporto eclettico e informale, ma le nostre strade si sono divise. La forzatura alla quale mi si voleva portare aveva connotati troppo materici e nichilisti.
Carmelo Bene le sarà stato congeniale.
“Sì! Nel camerino del Piccolo Teatro, al termine del primo atto del Macbeth. Quando gli rivolsi la parola, cercò di spingermi fuori. Gli opposi: ‘Maestro, sto facendo cose di cui lei potrà andare fiero’… Al congedo mi disse: ‘Capisco, ma sappi che il tuo cammino sarà molto duro’”.
Nei suoi “viaggi animici” lei parla con personaggi del passato, come ora lei parla con me. Me ne racconti uno.
“Nel mio percorso animico ho avuto visioni riferentesi ad artisti e pensatori del passato. Ora non sono più curioso del passato, né del presente. Sono proiettato verso il futuro”.
Lei definisce taumaturgiche le sue opere, tanto da sanare l’anima di chi le osserva.
“Sono taumaturgiche perché chi le osserva con l’occhio dell’anima può acquisire una medicina, regalo dalla mia anima a chi vi si accosta per rispecchiarsi in esso”.
Lei a chi si rivolge?
“A chi ha la dignità di voler capire”.