Il terzo appuntamento della stagione di Teatro Contemporaneo 2024/2025 del Teatro del Sangro/Teatro Studio a Lanciano/Treglio. In scena “La lezione della guerra” di Francesca Sangalli, regia e interpretazione di Filippo Gessi (produzione Scena Nuda – Reggio Calabria).
Forse non c’è molto da imparare dalla guerra se non che se ne esce sconfitti in ogni caso, in qualsiasi schieramento. Eppure, nelle lezioni di storia contemporanea a cui siamo abituati, la maggior parte del tempo è proprio dedicata alle due guerre mondiali. E’ così che si apre lo spettacolo “La lezione della guerra”, prodotto da “Scena Nuda” e andato in scena al Teatro Studio di Lanciano/Treglio il 2 Novembre. Si apre con una lectio magistralis sulla guerra.
Il relatore/professore che interviene ha il ritmo e le movenze tipiche degli insegnanti. Allo spettatore sembra quasi di essere tornato all’università o tra i banchi di scuola. Ma non sarà una delle consuete ore scolastiche che lo attende.
Lo spettacolo inizia in medias res, con le luci di sala ancora accese, senza intermezzi, senza artifici, senza musica di scena iniziale. Sul palco una semplice cattedra, rivestita di un panno verde, come spesso capita di trovare in una qualsiasi aula magna o sala convegni. Così parte la nostra lezione di storia sulla prima guerra mondiale: lo spettatore subisce quell’inizio di lezione confuso e imprevisto per l’interno di un teatro.
Ecco, però, che presto il nostro insegnante, Alfredo, interpretato da Filippo Gessi, deve interrompersi, non riuscendo a continuare: i pensieri si affastellano e il dolore si sfoga in rabbia. Qualsiasi dissertazione storiografica perde di senso di fronte a storie di vita vera, alle storie di chi la storia l’ha vissuta.
Così, improvvisamente, la cattedra si apre e diventa una trincea: la scenografia si divide in due, si squarcia per aprirci, letteralmente, uno “spaccato” reale sulla guerra. Ci troviamo ora ad osservare la guerra non in un’ottica evenemenziale, ma in una chiave personale: passiamo da “gli eserciti hanno fatto questo o quello” ai nomi dei singoli componenti di quegli eserciti, al loro viaggio per arrivare in trincea da tutte le parti di Italia, ognuno con i propri accenti, le proprie cadenze, le proprie movenze. Ci sembra di vederli uno ad uno tutti i combattenti di questo plotone, grazie alla caratterizzazione dei personaggi che ci regala Gessi, la cui recitazione è sempre misurata, cesellata mimeticamente sulla realtà. Lavora moltissimo con la voce, cambiando ritmi, cantilene e lessico per passare da una regione all’altra, facendo dimenticare allo spettatore che si tratta di un testo scritto per attore solo.
Alfredo ora non veste più i panni dell’insegnante e ci racconta la sua vita quotidiana di trincea: il freddo, l’ottusità e la lontananza degli ufficiali, i pericoli e le difficoltà. Al suo primo giorno, incontra Bianchi, un giovanissimo volontario che si arruola con il desiderio di trarre dalla guerra un’occasione di riscatto. Ha appena 17 anni, ma è davvero alto e anche un po’ più grassottello (e per questo più goffo e vulnerabile) degli altri soldati. Alfredo si sente in dovere di proteggere quell’impavido, quanto ingenuo ragazzo, ma questi, invece, si mette in cerca di qualsiasi occasione per conquistare una medaglia e rendere fiera la propria famiglia.
Più Alfredo tenta di sottrarlo dal pericolo, più Bianchi lo cerca. Alfredo si chiede se sia giusto togliere volontà al ragazzo, cercando di proteggerlo: sa cosa significa la guerra e ne ha già tratto la sua lezione, ma deve arrendersi di fronte ai desideri di Bianchi, proprio come un figlio che si vuole proteggere fino all’ultimo, ma che ad un certo punto va lasciato andare. Così, Alfredo concede a Bianchi un incarico speciale: consegnare gli ordini alle prime linee.
Viene così messo in scena un vero e proprio confronto generazionale: i ragazzi, irruenti e volenterosi, si sentono le ali tarpate dagli adulti, che vorrebbero preservarli e hanno dimenticato la fame di futuro e di avventura che albergava anche loro da giovani. Alfredo, rivolgendosi direttamente al pubblico, che torna per un attimo a sentirsi alunno adolescente, chiede “Perché è proprio quando vi accontentiamo, che vi facciamo del male?”
Così, inaspettatamente, cambia nuovamente la scena. La trincea si ripiega nuovamente su se stessa, si richiude a formare un parallelepipedo candido: è la bara del Bianchi. Con emozione, vediamo Alfredo posare la medaglia, tanto desiderata, sulla tomba dell’amico: come la scenografica si è ripiegata su se stessa, nell’intimità del dolore, così l’attore si inginocchia di fianco al feretro. I tre allestimenti scenici, la cattedra, la trincea, la bara, ideati brillantemente da Marco Perrella ci restituiscono visivamente una circolarità dell’esperienza della guerra del protagonista Alfredo: dal conoscerla sui libri, al viverla, al detestarla, per poi nuovamente insegnarla alle nuove generazioni. Questa tripartizione segue la partitura ritmica del testo di Francesca Sangalli, che vuole restituirci l’insensatezza della guerra, la dura lezione che ne consegue e la difficoltà che si prova a narrarla a chi non l’ha vissuta in prima persona. Uno spettacolo che è insieme lezione, ma anche narrazione biografica e infine diventa elegia.