Inizio estate: il sole ancora non si vede. Nella camera aleggia una penombra malata. Mi sono assopita su una sedia. Tengo la mano di mia madre. All’improvviso stringo un oggetto inanimato, “una cosa”. Alzo lo sguardo e osservo il suo viso . Non respira . Se ne è andata. Mi guardo intorno. Dove è tutto quello che ci aveva unito? Che cosa si è dissolto, rendendo inerte quella mano? Queste domande mi hanno accompagnato negli anni a venire.
Mamma è morta. Eppure fuori, le auto vanno, la gente cammina, parla, sorride. Il cielo è al suo posto. Ma mia madre mi ha lasciato. Per un attimo la odio. A 24 anni mi trovo in una posizione inaspettata. Con Lei c’era sempre stato un profondo legame, mentre mio padre andava e veniva a secondo del suo umore. Lui voleva rappresentare la disciplina, dettava le regole.
Quando ci incontriamo dopo la nostra perdita ci scrutiamo come a chiederci: “Ci siamo già incontrati?” Sono rimasta con un solo genitore, quello che mi piaceva di meno. Spero che il nostro rapporto evolva. Mi sbaglio: lui continua a infuriarsi con me, io continuo a non capirne il motivo. Lo ricordo impenetrabile, bocca in un’espressione di amarezza, sguardo sardonico.
Una settimana dopo il funerale mio padre piange in silenzio sulla poltrona. Gli chiedo di condividerne il dolore. Lui replica: “Lei è stata la compagna di tutta la mia vita. Per quanto mi riguarda, sarebbe meglio se fossi morta tu”.
Silenzio e rabbia sono in seguito le sue difese. Io taccio. Temo che affrontarlo faccia andar via anche lui. Ma Lui l’ho già perso. Le nostre conversazioni diventano un bollettino meteorologico. Negli anni seguenti ore e giorni sono condizionati da necessità della famiglia. Ora però i miei figli sono cresciuti, il mio matrimonio è finito, la protagonista sono io . Così torno al passato.
Guardo la foto di mia madre. Mi coglie uno strano mal di stomaco. Lo riconosco.
Mi pizzicano gli occhi: voglia di madre. Voglia di posare l’anima in una cuccia. Farla riposare.
Guardo la foto di mia madre. Lei sorride. Non le perdono di essere stata fantastica, il mio unico punto di riferimento, per poi andarsene, prima di avermi insegnato a essere autonoma.
Non so cancellare gli anni in cui abbiamo combattuto la morte. Mia madre sorrideva con l’ago nel braccio, pregava nel tubo della cobaltoterapia, si trasformava in un’estranea che della mamma aveva solo gli occhi. Invece di accompagnarmi, lei mi lasciava sola ad assistere al suo disfacimento.
La perdita di mia madre mi dà la sensazione di essere bloccata nello sviluppo emotivo, come se non fossi cresciuta veramente, dopo. Ciò condiziona molte mie scelte successive. Poco tempo fa, rientro a casa. Non ricordo a che proposito, scherzando, dico mia figlia: “Faccio così perché sono orfana”. Lei risponde: “Come orfana sei troppo vecchia”.
Sì. è il momento che quest’esperienza mi sia compagna e non più guida. Così scrivo, perché il dolore passi dal cuore alla carta.
Un racconto di vita vissuta, autentico, ben scritto. La scrittura ha anche una funzione terapeutica e condividere il dolore ci rammenta la ns fragilità umana.