Della crisi della scuola italiana si dibatte da tempo. Sull’argomento è nelle librerie un volume scritto da tre docenti, uno di liceo e due universitari, Andrea Atzeni, Luigi Marco Bassani e Carlo Lottieri, A scuola di declino. La mentalità anticapitalista nei manuali scolastici, apparso nel catalogo dell’editore Liberilibri (pp. 156, euro 16,00). Gli autori individuano quelli che, a loro dire, sono i “mali” che affliggono, da diversi decenni, il sistema educativo del nostro paese. Il libro: «è il frutto di un piccolo viaggio attraverso i libri di testo che hanno formato […] quanti vivono e lavorano in Italia» (p. 9). Sono stati sottoposti a minuzioso scandaglio, in particolare, i manuali di storia, filosofia, geografa e diritto, adottati nelle nostre scuole, a muovere dal 1989. Si badi, non si tratta della ormai obsoleta polemica sui libri di testo di storia: al centro delle analisi che il volume presenta sta la concreta situazione nella quale ci troviamo a vivere, connotata da un innegabile: «divario tecnologico e produttivo fra l’Italia e gli altri paesi sviluppati»(p. 15), condizione indotta dall’inadeguatezza della nostra scuola.
Fin dagli anni Settanta, infatti, attraverso un’azione capillare e pervasiva, gli studiosi di formazione marxista, hanno influenzato, con i propri scritti scolastici e non, la didattica e la programmazione curricolare delle nostre scuole, condizionando la formazione degli studenti. Tali capolavori di “obiettività” erano caratterizzati da omissioni di ogni tipo, mirate a giustificare i misfatti del comunismo (eclatante il silenzio sulle foibe, che ha suscitato tanto clamore). I nostri autori rilevano che, negli anni dell’immediato dopoguerra, mentre gli ex-fascisti furono ghettizzati e costretti a fare i conti con la loro visione del mondo, gli intellettuali: «comunisti più che i conti si sono fatti sconti» (p. 14), in merito al loro passato e alle tragedia storica rappresentata dal “socialismo reale”. A muovere dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, i contenuti dei manuali scolastici sono passati dall’esplicita ideologizzazione di impianto marxista, a una forma più subdola e meno diretta di “lavaggio del cervello”, centrata sulla critica del mercato e della cultura d’impresa. Inutile dire, come mostrano i risultati di questo testo, che tale scelta pedagogica si è nutrita della cultura green, sistemica e falsamente ecologista, alibi ideologico delle politiche di “sostenibilità” in stile “Lega Ambiente”.
Gli estensori di tali manuali non vengono citati nel libro, in quanto Atzeni, Bassani e Lottieri, da liberali, non hanno alcuna intenzione censoria nei loro confronti. Ciò che a loro preme è mostrare come la cultura diffusa nelle nostre aule abbia, nel corso del tempo, costruito la mentalità oggi dominante, le cui coordinate generali vanno rintracciate in una sorta di anticapitalismo preconcetto e generalizzato, responsabile della sopravvalutazione del ruolo “regolativo” dello Stato. Tesi tipicamente liberale che conduce gli autori di, A scuola di declino, a individuare nelle tre “i” di berlusconiana memoria (inglese, impresa, informatica) gli strumenti atti a restituire credibilità ai nostri istituti educativi e a formare “quadri” capaci di recuperare il gap tecnologico italiano. Rilevano, inoltre, le radici antiche della statolatria italica: perfino il notabilato liberale del Risorgimento non riuscì a comprendere, fino in fondo, che lo “Stato onnipotente” rappresentava un ostacolo sulla strada della libertà, in quanto se ne servirono, per ragioni contingenti, al fine di combattere i privilegi di cui godeva la Chiesa. Con la marcia su Roma e la conquista del potere da parte di Mussolini, la statolatria, sostengono, divenne dato di fatto.
La centralità dello Stato non venne meno neppure nell’Italia repubblicana in quanto, ben presto, le Sinistre si fecero latrici di un civismo pedagogico e di politiche economiche, condivise con la DC, di stampo keynesiano, tendenti alla realizzazione dell’Welfare state. I “chierici” italiani, nella seconda metà del secolo XX, si sono posti al servizio di tale progetto politico. La loro critica del mercato e del liberismo muove, ritengono gli autori del volume, da un’analisi a senso unico della rivoluzione industriale. Di tale evento epocale, i nostri manuali mettono in rilievo esclusivamente gli aspetti critici e problematici, in forza di una lettura storica che valorizza l’esegesi di Marx. Con la rivoluzione industriale e l’affermarsi del capitalismo sulla terra si sarebbe palesato l’ “inferno”: alienazione operaia, sfruttamento e devastazione della natura. Con il crollo del muro di Berlino e con il venir meno del sogno rivoluzionario, alla “religione politica comunista”, gli intellettuali di casa nostra hanno sostituito la nuova “religioni dei diritti”: ecologismo sistemico, terzomondismo, diritti, gender.
Ci pare che l’analisi di Atzeni, Bassani e Lottieri sia condivisibile relativamente al tratto ideologico, a senso unico, della manualistica scolastica. Non, di contro, la tesi generale, tipicamente liberale, sulla quale è costruito il volume: meno Stato, più individuo, più mercato, anche nella stessa istituzione scolastica. Impresa, inglese, informatica possono svolgere un ruolo positivo negli istituti miranti alla formazione tecnica e immediatamente professionalizzante. La polemica anti-marxista che emerge dal libro è, peraltro, fuori tempo massimo. In questa fase storica, la “religione dei diritti”, nella quale il marxismo si è inverato, come comprese Augusto Del Noce (citato nel volume), rappresenta il “nemico principale”. È essa a definire la forma mentis e spirituale dell’uomo contemporaneo, residuo e dimidiato, prodotto del capitalismo computazionale o cognitivo. Vi è, quindi, un nesso evidente tra la dismisura perpetrata in ogni ambito dal capitalismo e la realtà antropologica ed educativa contemporanea. La”religione dei diritti”, le politiche di sostenibilità, criticate dai nostri autori, rappresentano la “sostanza” del capitalismo dell’età della post-verità. Il marxismo inveratosi nella “religione dei diritti” è al servizio della Forma-Capitale.
La scuola potrà tornare a formare uomini e cittadini liberi, atti a partecipare attivamente alla vita comunitaria, solo attraverso una proposta culturale centrata sugli aspetti sostanziali e non meramente formali (come finora è accaduto) del mondo classico. Quella civiltà ha insegnato al mondo che il pensiero è vampa capace di animare la vita: rende liberi.
Condivido le osservazioni critiche di Sessa. Peraltro l’ecologia profonda insegna che l’uomo è centro di doveri (verso tutte le forme di vita e le generazioni future) piuttosto che di diritti, come invece prospettato dall’opinione dominante liberal capitalista.