I risultati come attribuiti:
– distribuzione degli Electors votati il 5 novembre che il prossimo mese di dicembre, riuniti nell’Electoral College, nomineranno ufficialmente il Presidente:
Donald Trump 312
Kamala Harris 226
la maggioranza prescritta essendo 270.
Ovvio, naturale, che a seguito della dura, inattesa (ho i miei dubbi in merito: penso che in verità i vertici democratici nazionali, a conoscenza attraverso sondaggi non addomesticati, alla stregua di quelli propinati dai media a man salva, delle reali intenzioni degli elettori, sapessero come sarebbe andata a finire da un paio di settimane almeno, naturalmente tenendolo nascosto per non demoralizzare l’elettorato) e controtendenza – non doveva il partito di Biden avere il vento nelle vele spiegate affrontando un avversario condannato, inquisito, a suo tempo messo due volte sotto Impeachment e così via? – sconfitta l’Asino democratico americano sia chiamato da subito, già in vista delle Mid Term Elections del 2026, a compiutamente riflettere e a cercare soluzioni.
Concrete, aggiungo conoscendo l’astrattezza assai compiaciuta quasi sempre espressa dalla nomenclatura dell’Asinello.
Astrattezza che, portando a far prevalere l’ideale specifico del movimento sulla realtà (molto più chiara ai repubblicani e soprattutto al Maverick prestato alla politica Donald Trump che ha stravolto il Grand Old Party chissà se in modo definitivo e che, età a parte, non potrà essere in corsa nel 2028 essendo stato eletto due volte), con buona frequenza e di questi tempi salvo casi particolari, porta alla perdita della ambitissima poltrona presidenziale (in questo frangente, poi, catastroficamente, anche della maggioranza congressuale, senza vantaggio alcuno quanto ai Governatorati).
Realtà che, come si è constatato e pare ci si rifiuti di accettare, non è rappresentata da star di ogni diverso tipo (Taylor Swift, nientemeno, George Clooney, mamma mia!) che dichiarandosi democratiche guadagnano titoli di copertina e comparsate televisive sui e nei media inutilmente da sempre in mano a giornalisti e programmisti amici, senza convincere, come del resto quanti li ospitano, nemmeno i propri parenti.
Realtà, in fondo e malgrado tutte le ripartizioni possibili (età, razza, tendenze sessuali, ceto sociale, fascia economica, origini, collocazione urbana o rurale e chi più ne ha più ne metta), composta di contro da elettori etichettati, chiamandoli così, avversi, a raccolta, come deplorevoli o tipo spazzatura (si può essere meno intelligenti?) da Hillary Clinton e Joe Biden e del tutto trascurati dalla cinguettante, catapultata e malcapitata, Kamala Harris che invece di andare a trovare la casalinga di Boise, Idaho, o il lattaio dell’Ohio, si fa fotografare o parla con personaggi dello spettacolo che del cittadino medio elettore non hanno e non rappresentano nessuna caratteristica, elettore che in loro non si identifica.
È assolutamente indispensabile, inoltre e alla fine in primissima battuta, che la scelta dei candidati allo scranno sia davvero affidata all’andamento, meno condizionato possibile dalla dirigenza partitica, di Caucus e Primarie libere il cui esito venga rispettato.
Così non è stato nelle ultime due occasioni nelle quali la Nomination era effettivamente in ballo.
Nel 2016, quando Bernie Sanders che insidiava seriamente Hillary Clinton fu fermato in ogni modo usando sotterfugi procedurali.
Nel 2020, quando la nomenclatura intervenne praticamente obbligando i molti candidati alternativi a Biden che a febbraio lo precedevano nei risultati a ritirarsi in vista del Supermartedì di inizio marzo.
E sarà anche ora di dire che nel 2020, lasciando da parte ogni questione relativa a presunti brogli elettorali, Joe Biden ha vinto per via della pandemia che ha gravissimamente impiombato le ali del rivale che in precedenza era dato vincente su tutti i fronti.
Visto che ci siamo, perché un simile abbaglio non venga più preso, anche la scelta di Tim Walz, sconosciuto e bolso Governatore del Minnesota, uno Stato non assolutamente in bilico da sempre democratico, era priva di senso e non ha portato (non poteva farlo) benefici.
È vero che il Signore acceca coloro che vuole perdere, ma è ora che gli Asinelli si diano una mossa cercando il leader nella nuova generazione, considerato che, salvo drammatici avvenimenti, i repubblicani presenteranno il già selezionato J. D. Vance, un nel 2028 quarantaquattrenne!
Nota bene.
– Quanto in genere ai sondaggi ogni minuto pubblicati, da tutti venerati e alla base di infiniti ragionamenti, perché se ne tenga conto in futuro ma dubitando fortemente che succederà, il giorno stesso delle elezioni, l’autorevole sito FiveThirthyEight proponeva Kamala Harris al quarantotto percento del voto popolare con un vantaggio dell’uno e due mentre in realtà Donald Trump si è imposto con un margine del tre con oltre quattro milioni di suffragi in più.
– Quanto in particolare ai famigerati sette Battlegrounds, sono stati tutti appannaggio di Trump.
– Decisamente inconsistenti poi i terzi partiti (Libertarian e Green in primo piano) che rispetto ai risultati ottenuti in particolare nel 2016 si sono dimostrati in fortissimo regresso.
– Per la seconda volta, la Signora candidata da uno dei due movimenti egemoni (invero, dai democratici) è stata sconfitta.
È questa un’altra grave manchevolezza americana che mi auguro venga colmata da una candidata repubblicana quale potrebbe essere Nikki Haley – difficile, essendo praticamente già designato per il 2028 il giovane Vice al momento in pectore J. D. Vance – decisamente più acculturata, adatta e meno, mi si scusi, isterica di Kamala Harris.