Francesco Mutti, amministratore delegato dell’omonima azienda, sollecitato dal Financial Time, è intervenuto nel dibattito che agita la politica e il mondo agricolo, dichiarando che “dovremmo fermare l’importazione di concentrato di pomodoro dalla Cina o aggiungere una tassa del 60% su di esso in modo che il suo costo non sia così diverso da quello dei [prodotti] italiani”. Ed ha lanciato un appello alla Ue perché protegga la produzione italiana dalla concorrenza sleale della Cina, che mette a rischio la “dignità del pomodoro italiano” minacciando il futuro degli agricoltori del nostro Paese.
È risaputo infatti che la Cina non rispetta gli elevati standard di tutela sociale e ambientale previsti dalle normative della UE e per questo il suo concentrato di pomodoro può essere venduto a prezzi inferiori rispetto a quello italiano. Scrive Francesca Biagioli che questo è “un problema non da poco dato che, mentre i produttori italiani affrontano rigorose regolamentazioni, le importazioni cinesi godono di costi ridotti” (“Basta pomodoro cinese: Mutti propone un dazio europeo sulle importazioni per salvare la passata italiana”, fonte: greenMe, 28/10/2024).
Una questione economica, sociale ed ambientale
Come si può arguire la questione non riguarda solo l’economia e lo sfruttamento dei lavoratori impiegati nella produzione agricola, ma anche la tutela dei consumatori e il rispetto dell’ambiente. E, per la verità, non riguarda solo il concentrato di pomodoro, ma tutte le importazioni di prodotti agricoli. Si parla a questo proposito di “dumping ambientale”, vale a dire di disparità di regolamentazione circa le norme ambientali da osservare: infatti, mentre gli agricoltori italiani sono obbligati a rispettare standard rigorosi in tema di sostenibilità, la produzione cinese non è sottoposta a simili regole.
Alcuni dati
Diamo qualche dato. Si stima che la Cina rappresenterà nel 2024 circa il 23% della produzione mondiale di pomodori, con un incremento rispetto al 18% del 2023. La giornalista di greenMe precisa peraltro che “circa il 13% del totale di concentrato di pomodoro cinese viene spedito nell’UE, in particolare in Italia, dove viene ulteriormente lavorato, diluito o mescolato con prodotti a base di pomodoro locale e poi riconfezionato, principalmente per l’esportazione. Importante ricordare infatti che le leggi del nostro Paese sull’etichettatura dei prodotti alimentari, proibiscono la commercializzazione del concentrato di pomodoro cinese diluito come passata. Il rischio di frodi, però, è dietro l’angolo”.
La posizione della Coldiretti
Anche la Coldiretti, che è la principale associazione degli agricoltori italiani, “ha supportato la posizione dell’azienda, manifestando la propria preoccupazione per le importazioni di concentrato cinese, che arrivano a prezzi dimezzati rispetto al prodotto italiano. Anche per Coldiretti l’importazione penalizza il lavoro degli agricoltori italiani, creando un contesto di concorrenza non equa (Giorgia Bonamoneta, “Mutti contro la Cina, chiesto dazio del 60% sul pomodoro”, fonte: QuiFinanza, 25 ottobre 2024)
La concorrenza cinese: perdite economiche e danni ambientali
Mutti peraltro sottolinea non a torto come questa disparità di regolamentazione potrebbe spingere molti produttori a delocalizzare le proprie attività con una duplice conseguenza: una perdita economica nel settore agricolo e un danno ambientale per la minore sostenibilità ambientale vigente in altre Nazioni.
L’agricoltura italiana, la più verde d’Europa
Da ecologista ritengo che l’imposizione di dazi – al di là della prevedibile e temuta guerra dei dazi – potrebbe spingere i paesi produttori a tener conto d’una maggiore sostenibilità ambientale. Va peraltro rilevato che secondo i dati forniti dalla Coldiretti l’agricoltura italiana è la più verde d’Europa. Basti pensare che l’Italia è tra le prime nazioni per aree coltivate a biologico con 1,95 milioni di ettari nel 2018 pari al 15,5% della superficie agricola e con ottantamila occupati nel settore del biologico. Inoltre ha incrementato in modo significativo le produzioni di qualità e a denominazione d’origine (DOP e IGP).
Il rapporto di Legambiente e Alce Nero
Legambiente e Alce Nero hanno stilato un rapporto, denominato Stop pesticidi nel piatto 2023, che fa il punto sui fitofarmaci che troviamo nei nostri alimenti. Secondo questo rapporto l’agricoltura italiana, pur presentando zone d’ombra (dal momento che produce il 20% delle emissioni inquinanti), è tutto sommato abbastanza sicura. Infatti è stata registrato un uso in calo dei pesticidi: “Lo studio di Legambiente e Alce Nero ha considerato 6.085 campioni analizzati di alimenti di origine vegetale e animale provenienti da agricoltura biologica e convenzionale di 15 Regioni. I campioni contenenti tracce di pesticidi sono in calo (39,21% rispetto al 44,1% del 2022. I campioni irregolari rilevati sono appena l’1,62%. Cresce il numero dei campioni regolari senza residui, che passa dal 54,8% dello scorso anno al 59,18%” (fonte: Rinnovabili, “Pesticidi, l’agricoltura italiana è abbastanza sicura ma può fare altri passi avanti”, 28 Dicembre 2023)
Le zone d’ombra invece sono dovute da un lato ad un’azione politica non ancora sufficientemente incisiva e dall’altro ad alcune produzioni agro-zootecniche, come quelle della Pianura Padana, che esercitano un’enorme pressione sull’ambiente in termini di emissioni inquinanti. È dunque auspicabile un minor consumo di carne da parte dei cittadini e una “maggiore decisione da parte della politica nel prendere una posizione in merito all’uso dei pesticidi” e in particolare sull’uso del glisofato, come sottolineano non a torto Legambiente e Alce Nero.
Il glisofato, la posizione di Fare Verde e dei Gre
Sul tema del glisofato sono pure intervenute, nel novembre 2023, con un comunicato congiunto Fare Verde e i Gre (Gruppi di Ricerca Ecologica) per esprimere la propria ferma contrarietà alla decisione della Commissione europea di rinnovare per altri dieci anni la possibilità di utilizzare il potente diserbate glifosato, che viene impiegato massicciamente da oltre cinquant’anni in numerosissime aziende agricole ma anche per rimuovere erbacce ai margini di sedi stradali e ferroviarie. Stralciamo dal lungo e articolato comunicato delle due associazioni:
“La Commissione ha ignorato l’appello di migliaia di scienziati e di organizzazioni che invocavano l’applicazione del principio di precauzione alla luce di tutti gli effetti avversi segnalati della sostanza tossica ed esponendo agricoltori e cittadini ad un elevato rischio di cancerogenicità, genotossicità e neurotossicità (…) Il mancato raggiungimento di una maggioranza qualificata tra gli Stati membri dell’UE nella votazione al Comitato d’Appello è un fatto gravissimo, che mina la salute delle persone, la tutela degli animali e la salvaguardia della biodiversità, pesantemente minacciati dal glifosato. Ma la riapprovazione del glifosato costituisce a tutti gli effetti una violazione del diritto e della giurisprudenza dell’UE, secondo cui un pesticida può essere approvato solo se è dimostrato che non provoca cancerogenicità o tossicità a lungo termine. Mentre un divieto del glifosato avrebbe innescato cambiamenti strutturali nelle pratiche agricole verso una maggiore sostenibilità ambientale, sociale ed economica”.
Conclusioni
In definitiva possiamo trarre queste conclusioni:
la situazione dei pesticidi in Italia va migliorando;
la leva fiscale, come quella dei dazi, può essere un utile strumento finalizzato alla transizione ecologica;
la strada per una conversione ecologica dell’agricoltura è però ancora lunga e, per percorrerla, ci vuole l’azione concertata delle imprese, dei cittadini e delle pubbliche amministrazioni.