Londra – Sulle strade inglesi l’auto italiana la vedi col lanternino. Lontani i tempi in cui Fiat, Lancia, Alfa Romeo e Maserati producevano auto cult. Trintignant e Gassmann viaggiavano su una strepitosa Lancia Aurelia B24. Io, più modesto, su una Giulietta spider Alfa Romeo prima serie, di seconda mano. Quanti sono i modelli italiani circolanti oggi sull’isola? Pochissimi, L’Italia non c’è sulle strade albioniche. Se escludi Fiat 500 e qualche Alfa Romeo. Sulle strade di Londra ci sono tutte le auto che contano, eccetto le nostre. Fiat sembra sparita dalla circolazione.
Di Lancia e Alfa nemmeno l’ombra. Il motivo alla base della debacle risiede nel passato. Nell’articolo del 2018 di Gianni Marocco su Barbadillo si legge: “Se il gruppo Fiat è ancora un player di discreto livello è solo grazie a Marchionne ed al geniale/fortunato rilevamento di Jeep-Chrysler. Fosse stato solo per Panda e 500 saremmo già diventati un marchio cinese. I gestori passati non sono stati capaci di aggiornare il sapore e rendere appetibili Alfa, Lancia e Maserati che potevano essere meglio di Audi e Bmw e Porsche. Poi la disastrosa gestione Romiti, che, appoggiato da Gianni Agnelli, ha preferito una dimensione finanziaria a quella automobilistica, spazzando via tutto in un decennio…Per recuperare ci vogliono montagne di soldi e tanta fatica”. Oggi sulle strade inglesi vedi il futuro dell’auto interpretato da una miriade di modelli, alcuni esteticamente accattivanti, dai colori sgargianti e dalle forme propositive che suggeriscono innovazione, design inediti; di Renault, Peugeot e Citroen una marea montante, senza parlare di BMV e delle Mercedes Benz che spopolano con lussuose berline mozzafiato. Giri l’angolo e vedi che sfreccia una Fiat 500, devi accontentarti di quella. Gianni Agnelli e Cesare Romiti sono scomparsi da un pezzo. Il primo regnava, il secondo comandava e la loro eredità eccola.
Povera Torino, in crisi di identità dacché il suo destino si identifica con quello dell’auto. Povera anche per altri versi. Devi esserci nato a Torino come me, per capire cosa è successo a questo salotto a cielo aperto dove trionfano Barocco, diffidenza verso lo “straniero”, zeppa di fattucchiere e antiche memorie. Quali memorie? Da presidio romano a città sabauda, per cui regia, non per niente ci andavo a giocare ai giardini reali nei pressi di una squisita reggia che fa eco a Versailles.
Il corposo articolo del Financial Times Weeek end, 20 ottobre 2024 di Amy Kazmin ritrae per la città una realtà problematica, legata alla sorte dell’auto. Gli stabilimenti di Mirafiori per quanto rimarranno aperti? Nel testo: “Quando vedi una fabbrica con quasi 100 anni di storia fermarsi, il cuore piange. Torino muore. Un tempo orgoglio della produzione italiana e conosciuta come “Mamma Fiat” per i suoi estesi programmi di welfare dalla culla alla tomba, Fiat è stata incorporata in Stellantis nel 2021, dopo anni di difficoltà. A settembre l’azienda ha temporaneamente interrotto la produzione di automobili nello storico stabilimento di Mirafiori”.
Il sottotitolo: “La dolorosa transizione del marchio di proprietà di Stellantis ai veicoli elettrici ha scosso la sua città natale, Torino, e innescato una disputa con Roma”. L’operaio e deputato sindacale Giacomo Zulianello, ha accusato Stellantis di “dissanguarci” aggiungendo che l’uccisione totale di Mirafiori è troppo anche per Tavares. “Ma in realtà, Mirafiori è già chiusa”. Dice.
C’è altro? Sì. Torino è titolare di un’altra storia, di rilevanza internazionale, oggi in sordina. La scopri varcando le soglie del museo nazionale del Risorgimento. Scrive Wikipedia: “Nel marzo 1854, la regina Vittoria dichiarava ufficialmente guerra alla Russia a sostegno dell’Impero ottomano; pochi giorni dopo la seguì Napoleone III. E poi il Piemonte. La partecipazione dei bersaglieri piemontesi alla guerra fu il primo atto voluto da Cavour e dal re sabaudo per riunificare l’Italia”.
A Torino l’Italia intera dovrebbe gratitudine e forse un po’ più di considerazione, anche perché ha ceduto il ruolo di capitale del Regno prima a Firenze, poi a Roma. Giornate di sangue a Torino. Settembre 1864: la città non è più capitale di Francesco Ambrosini lo spiega: “Nel settembre 1864, improvvisamente, Torino non è più capitale. Il governo ha concordato di nascosto con Napoleone III di spostarla a Firenze, non a Roma (contro il voto del parlamento italiano) per non compromettere il potere temporale del papa. Tutti sono stati tenuti all’oscuro fino all’ultimo momento e i torinesi, scesi nelle strade a protestare pacificamente, vengono attaccati e poi presi a fucilate dalle forze dell’ordine. È una strage, con più di 50 morti e tre volte tanti feriti”.
Torino ha ceduto scettro e potere. E se il suo futuro non fosse più solo progettare auto ma quello di proiettarsi nell’industria aerospaziale? Le prime cospicue avvisaglie lo annunciano. A Torino ingegneri e tecnici di prim’ordine abbondano. E l’articolo del Financial Times lo accenna.
Ringrazio Ferrara per avermi gentilmente citato. Torinese da tre generazioni, piemontese da almeno 7-8 (forse da molte, ma non lo so con certezza) mi piange il cuore, perchè l’industria automobilistica italiana mi sembra realmente finita, per le colpe di molti. A iniziare dai sindacati di sinistra e dalla politica clientelare democristiana che volle antieconomici stabilimenti al sud (che normalmente nessuno ricorda, limitandosi alle carenze della Famiglia). Non credo ci siano alternative nel settore aerospaziale (spero di sbagliarmi), tanto meno nel terziario avanzato o quaternario. Après nous le déluge…
Nel 1991 eravamo ancora il quinto produttore mondiale di auto con oltre 2.120.000 unità ed il terzo in Europa, dopo Germania e Francia. Dopo essere stati i primi. Nel 2023 siamo al 19mo posto con 880.000 auto prodotte, preceduti anche dall’Iran… Ed in discesa…
Nel 1864 furono gli allievi carabinieri a sparare, inesperti, forse sopraffatti dal timore, forse mal comandati…
Sarebbe interessante sapere pure quali e quante macchine inglesi girano per Londra.