Giannozzo Pucci propone su barbadillo.itla difesa dell’agricoltura artigiana e dell’analfabetismo digitale, che devono procedere insieme. La condizione contadina è stata quella dall’alba dei tempi agli anni ’50 del ‘900. Non scomparirà senza recare vulnus alla civiltà.
Nell’ultimo mezzo secolo le campagne sono, coi contadini, andate in città, anche se non come preconizzava Mao Zedong; e le industrie hanno invaso e ormai presidiano – con prodotti chimici e meccanici – i campi. E’ possibile un ritorno alla terra che non sia solo il primo livello dell’ industria alimentare? Sì, dice Giannozzo Pucci: il premio Acqui Ambiente ricevuto nello scorso luglio riconosce la validità della sua azione.
Ma come avvicinare alla tradizione chi, per età, la tradizione l’ha potuta leggere solo nei libri di storia economica?
Come ricordare che “la terra non mente”, secondo l’insegnamento di Jean Giono e Marcel Pagnol? E ora, con l’aiuto di Francesco Menna, vediamo come il cinema italiano, che così spesso le reti tv e l’online rilanciano, ha raccontato la condizione contadina.
(enrico marletti)
L’immagine dei contadini nel cinema italiano del ‘900
Presente nei film più popolari fino agli anni ’60, sempre meno poi, l’agricoltura ha ancora molto da raccontare
Il cinema evoca spesso le radici rurali del popolo italiano. Sono film che affollano, dall’avvento del sonoro fino agli anni ’60, le sale cinematografiche. Si esaltano anche piccola proprietà e fittanza nelle campagne, accompagnando fino al 1944 l’aspirazione autarchica. E’ una parte dello sforzo propagandistico, applicato a una realtà d’intervento pubblico nell’economia: vi si distinguono l’agronomo Nazareno Strampelli e l’economista Arrigo Serpieri. Importante costruttore di opere pubbliche in Italia e in Africa, Giovanni Volpe – parente di Serpieri – ne pubblica i libri ancora negli anni ’60-’70.
Si producono documentari Luce, come l’anonimo La battaglia del grano (1927) e Grano fra due battaglie di Romolo Marcellini (1939). Il riscatto delle paludi, le bonifiche, il pane come vita, la costruzione di un nuovo mondo contadino, in cui quest’ultimo sia un continuum con il combattente e il fascista, pervade le opere tra fine anni ’20 e primi anni ’30.
Il regista con gli stivali
Alessandro Blasetti, che dirige i film con gli stivali (come fosse un generale o un agrario) è l’autore più noto, con una serie di opere. Sole (1929) è un’epopea della bonifica pontina. Dria Paola e Marcello Spada interpretano una nuova coppia di contadini, dediti al dovere e artefici, nel loro piccolo, della prosperità della patria. Terra madre (1931) è più significativo, coniugando i valori ancestrali della terra, momentaneamente abbandonati dal proprietario, e quelli del riscatto delle campagne, grazie al benefico influsso dell’amore; ne segue la lotta con gli speculatori per ricostruire la dignità della terra.
Il “1860” raccontato nel 1934
Anche la ricostruzione del Risorgimento dà ampio spazio ai contadini, quelli siciliani, in 1860, film del 1934 sulla spedizione dei Mille.
Il culmine dei temi della bonifica, delle città di fondazione, del riscatto della terra e del nuovo lavoratore agricolo si raggiunge con Camicia nera di Giovacchino Forzano (1933). Il personaggio principale è un fabbro delle paludi, che in guerra ha perso la memoria. Quando la recupera, torna in paese dove, con la moglie e altri patrioti, si batte contro i sovversivi per la bonifica e il riscatto della terra, che viene assegnata in piccoli lotti.
Mutatis mutandis, la lotta contro i boicottatori e i sovversivi adombra, come in Blasetti, i film sovietici sulla collettivizzazione. Ma il mondo agricolo è anche nelle commedie di costume, come Partire (1938) di Amleto Palermi, dove un giovane ozioso (Vittorio De Sica) recupera l’operosità grazie a una brava ragazza (Maria Denis), che lo riporta in campagna; o come Cavalleria rusticana di Amleto Palermi (1939), con Doris Duranti e Leonardo Cortese.
Estetica russa e americana
Con la guerra, il filone bucolico si assottiglia, ma l’ambiente rurale resta presente – prima o poi la guerra finirà e i fanti torneranno nei campi -, come dimostrano il documentario Gente del Podi Michelangelo Antonioni (1943) e il giallo rurale Ossessione di Luchino Visconti (1943).
Nel dopoguerra affiora l’ansia per un rinnovamento e riscatto del mondo contadino. Il nuovo corso si apre con Giuseppe De Santis: Caccia tragica (1946) e Riso amaro (1949). Anche Caccia tragica rinvia ai film sovietici degli anni ’30. Novelli sposi (Massimo Girotti, già protagonista di Ossessione, e Carla Del Poggio), insieme al ragioniere che porta i finanziamenti pubblici, sono rapinati da banditi assoldati dai proprietari terrieri, guidati da reduci della Rsi. La vicenda sfocia nella caccia dei contadini ai banditi, in una sorta di resistenza al contrario.
In Riso amaro, ladri di gioielli (Vittorio Gassman e Doris Downing) cercano di sfruttare la monda del riso per rifarsi di un colpo mancato. Sul grande schermo appaiono le condizioni problematiche delle mondine, ma ancor più le loro cosce.
Brigante, ma con la bandiera
La tendenza ad americanizzare, cinematograficamente, il contado italiano è anche nel Brigante Musolino di Mario Camerini (1950), con Amedeo Nazzari, e ne Il brigante diTacca del Lupo di Pietro Germi (1952), ricalcato sui western militari di Hollywood, con gli insorti fedeli alla dinastia borbonica, ormai esule a Roma, al posto dei sudisti (o dei pellerossa). Li combatte un ufficiale del neonato Regno d’Italia (ancora Nazzari), che stenta a piegare i contadini che li proteggono.
Gli anni del riarmo per la Guerra fredda, delll’impetuosa modernizzazione e della secolarizzazione segnano la resa dei conti col mondo agricolo. Alcune opere affrontano arretratezza e rivolta contadina: Banditi ad Orgosolo di Vittorio De Seta (1960), I brigantiitaliani di Mario Camerini (1961), Il Brigante di Renato Castellani (1961), Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (1961). In queste opere affiorano le forze della reazione in agguato: potentati parafascisti, criminalità organizzata, salazarismo democristiano.
In Banditi ad Orgosolo sono i pregiudizi contro lo sconosciuto mondo dei pastori a trasformarli in banditi; in SalvatoreGiulianoè la mafia a trasformare, come cerca di raccontare Gaspare Pisciotta (un magnifico Frank Wolff), l’indipendentismo separatista in criminalità per usarla contro il movimento contadino; nel Brigante, tratto dal romanzo di Giuseppe Berto, sono i rapporti sociali nella Calabria durante il fascismo a fare di Michele (Adelmo di Fraia) un bandito e poi una vittima.
Più emblematico è I briganti italiani. Un cast internazionale (Ernest Borgnine, Vittorio Gassman, Micheline Presle, Katy Jurado, Bernard Blier, Philippe Leroy) per una vicenda che rovescia la rivolta contadina in una manipolazione sanfedista, senza sviscerare le responsabilità post-risorgimentali. Ma il cinema non fa che continuare la politica con altri mezzi: doveva dunque glissare sugli errori della Monarchia sabauda, salvo compromettere il meglio che ne fosse scaturito per la Repubblica Italiana: l’Unità.
Pasolini tra i peones
Gli anni ’60 segnano il primo strappo col mondo agreste nazionale. Le campagne vanno ancora in scena nei film italiani, ma travestite da campagne di peones. Si veda il metaforico western Requiescant di Carlo Lizzani, con Pier Paolo Pasolini, non a caso in quel ruolo. Proprio da lui verranno diretti i film sul mondo pre-industriale e pre-consumistico ormai svanito:Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle mille e unanotte (1974).
E dopo? A sinistra si guarda al passato delle leghe contadine della provincia di Parma, in vista di una rivoluzione solo sfiorata, in Novecento di Bernardo Bertolucci (1976): Gérard Depardieu rappresenta la vitalità proletaria e Robert De Niro la decadenza padronale. L’addio sentito, profondo, nostalgico e anche lagrimoso al mondo tradizionale sta nell’Albero degli zoccoli‘ di Ermanno Olmi (1978). Qui, nella provincia bergamasca, il taglio dell’albero, per fare nuovi zoccoli, segna il congedo dai valori ancestrali.
Levi, Rosi, Millet in Lucania
Resta meno noto, ma più suggestivo per il solo lampo di un film grigio, Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi (1979), tratto dal libro di Carlo Levi (Einaudi). Qui, finalmente, i contadini si vedono non solo esistere, ma anche zappare, almeno nella scena finale, ricalcata da un celebre quadro, “L’Angelus” di Millet. Sul silenzio dei campi si alza, da una radio invisibile, una voce inconfondibile: “Dopo quindici secoli, l’Impero torna sui colli fatali di Roma!”. E’ il 9 maggio 1936. L’umiltà contadina si avvolge nella speranza di avere campi più fertili da arare e meno severi che in Lucania…
Enrico Marletti - Francesco Menna
Enrico Marletti - Francesco Menna su Barbadillo.it
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