Sono Sottotenente dell’Arma di Fanteria Alpina. La mia carriera diplomatica si è svolta dal 1974 al 2012. Oltre ad operare a Roma, al Ministero degli Affari Esteri e presso la Presidenza della Repubblica, sono stato in servizio a Bonn, Washington, Mosca, e come Ambasciatore d’Italia a Minsk (2001-2003) e a Sofia (2008-2012).
Ho svolto due missioni a Mosca presso l’Ambasciata d’Italia: dal 1980 al 1983 e dal 1989 al 1993.
Nella mia prima missione, quando ero Terzo Segretario presso l’Ambasciata, all’età di 31 anni, trovai per caso nel 1980 nei sotterranei dell’Ambasciata un armadio – le cui ante erano contro la parete … – contenente migliaia di fascicoli di militari italiani scomparsi in Unione Sovietica. Nulla risultava a nessuno circa quell’armadio.
In quel periodo, tutto in Unione Sovietica si opponeva non solo all’idea, ma soprattutto alla realizzazione pratica di qualsiasi tentativo di cercare, rendere omaggio, disseppellire, rimpatriare i resti dei nostri Caduti. Come membri dell’Alleanza Atlantica eravamo nemici; continuavamo ad essere, per l’opinione pubblica, gli “invasori fascisti”. Nei fatti, i tentativi dell’Ambasciata d’Italia (svolti da me medesimo informando il Ministero degli Esteri italiano) di essere aiutati dalle Autorità sovietiche si urtavano contro l’opposizione recisa (non utilizzo di proposito la parola riluttanza) di: Comitato Centrale del PCUS, autorità governative, associazioni dei reduci, autorità militari, stampa, opinione pubblica, ecc.
Dopo estenuanti ricerche,individuai un cimitero nella Repubblica Socialista Sovietica di Bielorussia, a Glubokoye, dove era stato in funzione durante la Prima Guerra mondiale un ospedale da campo ove furono ricoverati dei militari italiani, alcuni dei quali vi morirono. Il cimitero si riferiva a militari italiani morti in un ospedale, quindi non deceduti combattendo contro truppe sovietiche; il cimitero si trovava lontano dalla RSS Russa, e l’ assenso sovietico alla richiesta di rendere omaggio ai nostri Caduti era quindi meno suscettibile di essere contestatodall’opinione pubblica; la loro morte era avvenuta in tempi lontani durante la Prima Guerra mondiale, e non durante la “Grande Guerra patriottica”.
L’allora Ambasciatore d’Italia a Mosca – accompagnato da me – recò più volte a Glubokoye, in occasione della ricorrenza del 4 novembre, a partire dal 1981,una corona di fiori con nastro tricolore nel cimitero in questione.
Questo episodio è uno dei più belli e significativi della mia carriera, e uno di quelli di cui vado più fiero: essere riuscito a trovare il modo di rispettare il Dovere di Memoria, rendendo omaggio a Caduti italiani dimenticati da tutti, era molto più che una soddisfazione; la missione di un diplomatico non si limita infatti a favorire i rapporti bilaterali politici, economici e culturali, ad assistere i connazionali, a tenere alta l’immagine del nostro Paese.
Ma vi è un seguito alla scoperta del cimitero di Glubokoye. Il caso (o forse non fu il caso) volle che io fossi nominato nel 2001 Ambasciatore d’Italia a Minsk, nella Bielorussia ormai indipendente e diventata Belarus. Ovviamente, continuai a portare la corona in occasione della ricorrenza del 4 novembre nella mia qualità di Ambasciatore d’Italia in Belarus, consapevole di essere stato lo “scopritore” di questo cimitero, che non era conosciuto dalle Autorità competenti italiane, e tanto meno dal Commissariato Onoranze Caduti in Guerra del Ministero della Difesa. Ovviamente, mi recavo a Glubokoye con il cappello alpino in testa.
La storia dei miei rapporti con i Caduti italiani in Russia non si esaurisce qui. Faccio un salto indietro nel tempo. Ho iniziato la mia seconda missione a Mosca nel 1989, con la qualifica di Primo Consigliere. Durante gli sconvolgimenti politici che cambiarono totalmente la situazione del Paese in quegli anni, approfittando di tale evoluzione, avviai nel 1990 tentativi per ottenere dalle autorità sovietiche la possibilità di cercare, disseppellire, rendere omaggio e rimpatriare i resti dei nostri Caduti.
Con inenarrabili difficoltà fu messo a punto un meccanismo che permise al Commissariato Onoranze Caduti in Guerra, vigorosamente capeggiato dal Generale di Corpo d’Armata (Alpino) Benito Gavazza (“Benito di nome e di fatto”, come veniva definito dai suoi commilitoni) di cercare, disseppellire, se possibile identificare e rimpatriare decine di migliaia di resti di Caduti italiani in Russia – moltissimi dei quali Alpini“andati avanti”.
Oltre al doveroso omaggio ai nostri Caduti riportandoli “a baita”, era essenziale informare migliaia di famiglie di Caduti, molte delle quali non avevano loro notizie da più di 45 anni. Anche questo episodio, dal 1990 al 1993, ha costituito per me una missione.
Nel 1990 inizia il vero e proprio rimpatrio di migliaia di cassette. Il meccanismo era complesso: grazie alla devozione dei Cappellani italiani, i cimiteri militari erano accuratamente registrati, con le coordinate degli angoli dei cimiteri. La distanza regolamentare fra le sepolture permetteva quindi, una volta individuata una salma, di trovare le altre.
Ogni salma era corredata da una bottiglia contenente la piastrina o un’indicazione non deperibile dell’identità del Caduto. Ovviamente, se nel corso dei decenni erano stati costruiti sul luogo dei cimiteri una strada, una fabbrica, un insediamento umano, ecc., una parte del cimitero era stata distrutta. Ma le ricerche si svolsero con estrema cura.
Il Commissariato Onoranze disponeva delle piante; l’Ambasciata fece il collegamento con le autorità militari e politiche; dei reparti delle forze armate sovietiche, e poi russe, procedettero agli scavi ed alle estumulazioni, ovviamente solo nella bella stagione, dato che in inverno il suolo era gelato anche in profondità, e ovviamente contro un adeguato compenso. Gli aerei militari italiani riportarono in patria migliaia di cassette. Il Commissariato curava i seguiti.
Un duplice episodio (tipico della petite histoire), forse poco rilevante per la grande histoire, ma significativo per migliaia di famiglie di Caduti. In effetti, a parte la soddisfazione personale (senza peraltro aver mai ricevuto alcun riconoscimento da qualsivoglia istituzione), ho avuto conferma che la perseveranza e la passione danno frutti.
E pensare che nella WWI eravamo alleati della Russia…
onorato della conoscenza e della comune frequenza alla Scuola Militare Alpina 64esimo corso AUC 1971
Complimenti, collega!
Quello che non so – e mi farebbe piacere saperlo – è il motivo per il quale durante la I Guerra Mondiale dei contingenti militari italiani furono inviati in Bielorussia: a dare una mano agli alleati russi?