
La scelta di Giorgia Meloni di ritirare la querela nei confronti del professor Luciano Canfora, giustamente citato per averla definita “neonazista nell’anima”, non può che fare piacere non solo a chi ha a cuore il rapporto fra il centrodestra e la cultura, ma a quanti credono che il confronto politico non si risolva nelle aule di un tribunale. L’insigne filologo, com’è noto, aveva usato quell’infelicissima espressione l’11 aprile 2022 nel corso di un dibattito sulla guerra in Ucraina cui aveva partecipato nel liceo scientifico Enrico Fermi a Bari. Le sue parole sarebbero rimaste probabilmente inosservate se non fossero state registrate da un’emittente televisiva del capoluogo pugliese e si inserivano in quello che un teologo cattolico definirebbe un “contesto omiletico”, per indicare la foga oratoria di un predicatore che tiene il suo sermone e ricorre a qualche iperbole. Canfora, che nel dibattito difendeva le ragioni della Russia, osservava come la Meloni, normalmente trattata “come una mentecatta”, avesse ottenuto rispettabilità una volta schieratasi con i “neonazisti ucraini”.
In quell’occasione, vista l’eco nazionale dell’affermazione, la leader di Fratelli d’Italia, non ancora presidente del Consiglio, fece bene a querelare, altrimenti qualcuno avrebbe potuto accusarla di accettare quella definizione: chi tace acconsente. Una volta divenuta premier avrebbe però potuto ritirare subito la denuncia, non perché chi è al governo non possa difendersi, ma per lanciare un segnale di generosità e anche per rispetto a uno studioso ultraottantenne e pur lucidissimo, tanto fazioso nel confronto politico contingente tanto onesto e rigoroso nelle sue ricostruzioni storiche, anche di fatti e figure della storia contemporanea. A dimostrarlo basterebbe il suo splendido saggio Il sovversivo, dedicato alla figura di Concetto Marchesi e già recensito su questo sito, in cui ricorda con molta obiettività il rapporto fra il grande filologo comunista e Carlo Alberto Biggini, stimato studioso e ministro dell’Educazione nazionale nella Rsi.

La querela la premier l’ha ritirata qualche giorno fa, e ha fatto comunque bene, dimostrandosi in questo caso un gradino più in alto di un suo illustre predecessore a Palazzo Chigi: Alcide De Gasperi. Il primo ministro non ritirò mai la querela contro Giovannino Guareschi, reo di aver pubblicato due lettere – che poi il tribunale dichiarò apocrife senza ammettere nemmeno una perizia calligrafica – in cui lo statista trentino avrebbe chiesto agli angloamericani di bombardare Roma per accelerare la caduta del regime. Con buona pace della sinistra, che grida alla repressione e all’intimidazione, il padre di Beppone e di don Camillo, condannato a dodici mesi di carcere dal tribunale di Milano, è stato l’unico giornalista dell’Italia repubblicana a finire in galera per diffamazione. È bene che rimanga l’ultimo.