Una storia con luci e ombre di un patriota in servizio nella polizia sul confine orientale nei drammatici mesi della fine della seconda guerra mondiale, tra la difesa dell’onore, la contrapposizione feroce con i partigiani e una fine senza pietas. Una storia rileggere senza giudicare peventivamente con gli schemi attuali, ma per riannodare le pagine strappate dell’italianità tra le due guerre.
Collotti Gaetano Antonio Maria nasce il 24/03/1917 alle ore 15,05, in Sicilia, a Castelbuono, paesino montano della provincia di Palermo da Alessandro e Di Stefano Maria, in via Turrisi, 20 (atti anagrafe Comune di Castelbuono). Il giovane vive pienamente l’essenza del suo tempo e viene educato secondo le direttive del Fascismo: Dio, Patria, Famiglia.
Gaetano entra in Polizia e alla fine del corso, a 22 anni, viene nominato V. Commissario. Frattanto scoppia la seconda guerra mondiale e successivamente è comandato di servizio a Trieste presso l’Ispettorato di Pubblica Sicurezza della Venezia Giulia retto da Giuseppe Gueli. Consegna dell’Ufficio è la repressione dell’attività sovversiva contro la Patria, con particolare riferimento a quella slava che era notevolmente cresciuta di intensità dall’inizio della guerra in corso.
Nel ’43 il Dr. Collotti è un brillante funzionario. Il 10 aprile, dello stesso anno, durante un’azione di polizia nella zona di Tolmino, ingaggia una violenta battaglia contro i partigiani sloveni che, supportati dagli alleati italioti, cominciano a fare sentire tutti i loro lugubri auspici nei territori dei confini. Conseguenze estreme di questa spirale di violenza sistematica e crudeltà premeditata, saranno le epurazioni e gli infoibamenti di fine guerra lungamente nascosti in Italia all’opinione pubblica.
La situazione precipita definitivamente quando arriva il nefando 8 settembre ’43, giorno in cui ogni singolo Italiano è costretto a fare una scelta di vita. Di fronte alla notizia della “resa senza condizioni”, Gaetano aderisce alla RSI (Repubblica Sociale italiana), in splendida coerenza con il suo senso dell’onore e dell’amore per la Patria. Vota tutto sè stesso alla causa. Il suo furore diventa disperato. Ingaggia una lotta senza quartiere, combatte i nemici con estremo accanimento, i traditori e i ribelli della Patria ai suoi occhi non sono altro che figli degeneri.
L’Ispettorato dove il giovane presta servizio ha sede in via Bellosguardo 8, presso la cosiddetta villa triste. E’ lo stesso reparto che, costituito da circa 180 uomini, sarà poi sprezzantemente ricordato come “banda Collotti”. I suoi componenti, inesorabili e spietati, divennero il terrore di Trieste per i metodi usati, degna pariglia resa agli squallidi servigi resi dal nemico.
Questa è una delle organizzazioni definite “Bande di Repressione”, facenti parte del Corpo di Polizia Repubblicana, inserito nelle FF.AA. Repubblicane e per questo utilizzato in azioni belliche. E’ comandato prima da Tullio Tamburrini, poi da Eugenio Ceruti e infine da Renzo Montagna.
L’origine di queste formazioni si rifaceva alle Squadre di Azione del 1919/1924, formate da fascisti intransigenti.
Il Dr. Collotti è un uomo duro, un investigatore capace e un poliziotto coraggioso ma, «lentamente, gli eventi lo porteranno a scendere verso l’inferno» annota Gregoretti perché «Collotti faceva – sottolinea Pansa – molto più in grande e sull’altro fronte, lo stesso lavoro sporco che “falco” aveva iniziato alla cartiera». Ad ogni modo la vicenda di Gaetano si consuma mentre la guerra volge al peggio per l’Asse: gli anglo-americani hanno invaso la nostra Patria, i russi la Germania, i titini, avallati dai garibaldini, i confini orientali. I traditori italioti festeggiano.
Il 28 Aprile ’45 a Oderzo (Tv), per evitare ulteriore spargimento di sangue fratricida, alla presenza del parroco Abate Domenico Visentin, gli Ultimi Soldati in Grigioverde concordano il cessate il fuoco e la deposizione delle armi con il CLN che dà loro il relativo lasciapassare per il ritorno a casa.
I partigiani si acquartierano a villa Dal Vesco (Tv) dopo averne ucciso i proprietari e la trasformano in una sorta di avamposto dell’inferno. Qui, pseudo accusatori, giudici e carnefici, applicano la “Legge della montagna” che, costituita da 18 articoli, prevedeva nella maggioranza dei casi la condanna a morte. «La condanna da infliggere – scrive Battistin – fosse una sentenza capitale o la carcerazione, era necessaria, affinchè il fascismo non potesse risorgere».
Frattanto il nostro V. Commissario di Pubblica Sicurezza, vede persa ogni possibilità di resistenza, e al fine di mettere in salvo la sua fidanzata, Pierina Martorelli, in evidente stato interessante, si avvia verso il confine con i suoi uomini, il carico di preziosi sequestrati e il denaro della Banca d’Italia di Trieste. Ma, a Olmi di San Biagio di Callata (Tv), vengono intercettati e fatti prigionieri. Pierina e Gaetano vengono condotti nella “villa”, dove subiscono un fulmineo processo sommario che culmina in una sentenza di morte già scritta. A tal fine sono trasferiti al campo di tortura e di sterminio di Mignagola, frazione del Comune di Carbonera (Tv), nella cartiera dell’orrore Burgo, a tal uopo trasformata e comandata dal famigerato “Falco”, alias Gino Semionato. Un testimone racconta che «camminavano in fila indiana con le mani sulla testa, per prima la donna che indossava un vestito color mattone, poi gli altri con impermeabili chiari».
Un altro testimone riferisce: «Ricordo la donna vestita di rosso e con i capelli rossi. Era vistosamente incinta. Collotti era un giovane piuttosto piccolo, grassoccio, mezzo calvo. Prima dell’esecuzione i due si abbracciarono. Dopo le raffiche di mitra, uno, benché ferito, gridò: “ Viva l’Italia!”».
Un altro ancora afferma: «Ho visto quando hanno fucilato i triestini: la donna chiedeva di risparmiarla almeno fino alla nascita del figlio che stava aspettando, ma i patrioti (sic!) non le diedero retta e la fucilarono ugualmente». «A nessuno viene concesso il conforto sacerdotale» spiega Bonussi. E Gregoretti riassume così la fine del giovane Gaetano: «Il 28 aprile 1945 – data fatidica – Gaetano Collotti muore con dignità. Di lui rimane l’orrore per ciò che è diventato e il rimpianto per ciò che poteva essere». I preziosi e i soldi trasportati dal drappello scomparvero equamente divisi fra partigiani democristiani e comunisti.
Nel dopoguerra i resti mortali di tanti trucidati, tra cui il S.Ten. GNR Luigi Lorenzi, furono riesumati. Il 24/2/1958 il sindaco di Carbonera autorizza i congiunti degli uccisi, tramite l’ACRRSI, a inumare 72 cassette con le spoglie dei caduti nei sotterranei della Chiesa Votiva di S. Maria Ausiliatrice di Treviso. Fra i tanti, Gaetano e Pierina che portava ancora, in quello che era stato il suo grembo, il piccolo scheletro del feto. Quelle furono “le radiose giornate”. Odio senza speranza, privo di pietà per i vinti e per i morti dei vinti.
Nel ’49 Cesare Pavese, nella sua opera La casa in collina, dirà: «Ho visto i nostri morti ma, ho visto anche i nostri morti sconosciuti, quelli del nemico, quelli “repubblichini”. Sono questi che mi hanno svegliato qualcosa… Il nemico, anche vinto, è qualcuno e dopo averne sparso il sangue, bisogna placarlo… Per questo ogni guerra è una guerra civile. E dico, se vogliamo ritornare a sperare e vivere, pietà, pietà anche per il nemico ucciso».
Nel 1997 è stata posta una targa a ricordo dei trucidati alla Cartiera Burgo.
Oggi appare dunque auspicabile che a Castelbuono venga intestata una via al V. Commissario di P.S. Dr. Gaetano Collotti M.B.V.M. e che, quanto meno, venga messo a dimora un albero nel giardino della memoria che il Dott. Alfredo Cucco ha dedicato a tutti i caduti castelbuonesi. E invece, allo stato attuale, la sua casa natale è abbandonata e sconosciuta ai più.
La Repubblica Italiana ha concesso al V. Commissario Gaetano Collotti la M.B.V.M. (cfr. GURI n. 12 del 16/1/1954), medaglia disapprovata dal solito contestatore resistenziale.
Gaetano Collotti ha affrontato la giustizia sommaria. La maggior parte dei “documenti comprovanti la violenza sadica” del V. Commissario trovasi stranamente nell’archivio IRSMLT (n. 914 carteggio processuale Gueli) mentre l’eventuale “carteggio processuale” è stato distrutto.
I volti di Gaetano e di alcuni suoi uomini sono noti per le foto scattate a Borst-S. Antonio in Bosco e conservate nel suddetto archivio.
I carnefici di Gaetano, “Falco” e i suoi accoliti, furono imputati nel dopoguerra per decine di omicidi volontari, ma finirono assolti da un tribunale della repubblica, con sentenza del 24/6/1954, in quanto i reati a loro contestati erano estinti per effetto dell’amnistia (Togliatti). E per di più, gli epuratori vennero anche decorati e pensionati.
Tanti anni dopo la comune tragedia, l’Italia muore ogni giorno un po’, e la libertà si spegne lentamente. Sarebbe un sogno se nell’occasione dei festeggiamenti per l’Unità d’Italia, fosse accolto l’appello di Ciarrapico: «Italiani tutti, andiamo sull’altare della Patria per ritrovarci. Solo allora il Milite Ignoto dormirà il sonno nell’armonia della Patria!». Un sogno, che di certo, resterà tale ancora a lungo.
FONTI:
AA. VV.: I giorni dell’odio, Ciarrapico, Roma, 1995;
G. Pisanò: Storia della guerra civile in Italia (43-45), FPE, Milano, 1965;
A. Serena: I giorni di Caino, Panda, Padova, 1990;
Testimonianza di Ruggero Benussi, sopravvissuto alla strage di Mignagola;
G. Pansa: Il sangue dei vinti, Sperling e Kupfer, Milano, 2003;
F. Maistrello: Partigiani e Nazifascisti nell’Opitergino, Cierre, Istituto Storia Resistenza, Verona, 2001;
D. Battistin: Mignagola, una resa dei conti del 45, Università Cà Foscari, Dip. Studi storici, annali 2004/2005;
C. Pavese: La casa in collina, Einaudi, 1990;
Comune di Castelbuono – Ufficio Servizi Demografici.
Sito www.italia-rsi.org
Fabrizio Gregoretti: Il mostro e l’eroe, in: www.Cadutipolizia.it
Sito Wikipedia.org.