Si è tenuto, a Bergamo, il primo Festival Distributista Italiano: un’occasione importante per dare evidenza all’esperienza “distributista”, esperienza relativamente recente, visto che il Movimento è stato creato, nel nostro Paese, nel novembre 2012, pur affondando le proprie radici nel pensiero di Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) e Hilaire Belloc (1870-1953).
Il movimento nacque per contrastare i mali della società capitalista e le derive ideologiche del social-comunismo, ispirandosi all’enciclica Rerum Novarum (1891) di Leone XIII, elaborando una visione alternativa della società basata sul senso comune, la ragionevolezza e il sano realismo.
Secondo il distributismo, la proprietà dei mezzi di produzione deve essere ripartita nel modo più ampio possibile fra la popolazione generale, sostenendo che, mentre il socialismo non permette alle persone di possedere proprietà (che sono sotto il controllo dello Stato o del Comune), e il capitalismo permette a pochi di possedere (come inevitabile risultato della competizione meritocratica), il distributismo cerca di consentire che la maggior parte delle persone diventino i proprietari dei mezzi di produzione e della propria casa.
Una sintesi dottrinaria si trova nel postulato di Chesterton: “Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti” (The Uses of Diversity, 1921). In sostanza, il distributismo si distingue per la sua idea di distribuzione dei beni e dei mezzi di sostentamento, prima fra tutti la proprietà della casa.
Considerato da molti un vero e proprio manuale del distributismo, Il profilo della ragionevolezza – pubblicato per la prima volta nel 1926 – è la risposta di Chesterton al fallimento del capitalismo e del socialismo, colpevoli della stessa impersonalità e disumanità. L’autore elabora un’alternativa al vicolo cieco del progresso, perché “centinaia di episodi della storia umana dimostrano che le tendenze possono essere invertite, e che una pietra d’inciampo può diventare il punto di svolta”. Rifacendosi alla dottrina sociale della Chiesa cattolica, egli propone quindi una ricetta quanto mai semplice e ragionevole: fare un passo indietro per poter andare avanti. Ma al di là delle soluzioni pratiche indicate in quest’opera – come fermare l’avanzata del monopolio, favorendo i piccoli negozi o come spartire la proprietà delle macchine –, quella invocata da Chesterton è soprattutto la nascita di uno spirito nuovo: un poderoso sforzo della volontà umana per riappropriarsi del potere di indirizzare in qualche misura la propria esistenza. Il profilo della ragionevolezza è così in primo luogo un manifesto contro qualsiasi forma di determinismo (storico, economico, sociale) o comunque di rassegnata accettazione di ciò che sembra (ma non è) inevitabile, quanto mai attuale nel moderno scenario della globalizzazione.
Come scrive Belloc , lo “stato distributivo” (lo Stato che ha attuato il distributismo) contiene “un agglomerato di famiglie di diversa ricchezza, ma di gran lunga il maggior numero di proprietari dei mezzi di produzione”. Questa più ampia distribuzione non si estende a tutti i beni, ma solo a mezzi di produzione e di lavoro, la proprietà che produce ricchezza, cioè, le cose necessarie per l’uomo per sopravvivere. Esso include terra, strumenti, ecc. Ma anche la casa, fondamentale per la vita stessa dell’uomo e della famiglia.
Durante il Primo Festival Distributista Italiano, presieduto da Matteo Marzariol, i vari relatori intervenuti hanno declinato la visione dei padri del distributismo, con i grandi temi sociali dell’attualità, offrendo non pochi spunti per una “rilettura” delle emergenze contemporanee.
Paolo Gulisano, medico, saggista e socio del sodalismo, nel suo intervento “La centralità economico-sociale della famiglia naturale”, ha evidenziato quanto la famiglia e il matrimonio siano fondamentali per il movimento, citando una frase del fondatore: “Ho conosciuto molti matrimoni felici, ma mai nessuno ‘compatibile’.” Questa affermazione, sebbene singolare, rende l’idea di cosa significhi la famiglia per i distributisti. La famiglia, secondo i distributisti, era il luogo ideale per trasmettere i valori morali e religiosi. Era qui che si imparava il senso del dovere, la solidarietà, il rispetto per l’autorità e per la tradizione. Rappresentava una critica al capitalismo, visto come un sistema che alienava l’individuo, distruggeva le comunità e favoriva l’egoismo.
John C. Medaille, uno dei principali esperti e sostenitori del distributismo, nonché docente di Teologia ed Economia all’università di Dallas, ha preso parte al congresso tramite un video collegamento, durante il quale ha sottolineato che il distributismo si basa su un principio fondamentale: non è accettabile che la produzione della ricchezza o del reddito sia separata dalla sua distribuzione. Matteo Martinoli, membro del Comitato Direttivo del Movimento Distributista Italiano, ha tenuto un intervento sul tema “Per una moneta libera da debito e interesse al servizio del bene comune”. L’idea di una moneta priva di debito e interesse, destinata a servire il bene comune, è da anni al centro del dibattito economico e sociale. Questa proposta radicale sfida le basi del sistema monetario attuale, fondato sul debito e sull’interesse. Liberarsi dal debito significa riacquistare la sovranità monetaria, consentendo agli Stati di controllare autonomamente la quantità di moneta in circolazione e di destinarla a progetti di interesse pubblico. La sua realizzazione richiede un cambiamento culturale e istituzionale significativo, oltre a un’attenta analisi delle
possibili conseguenze economiche e sociali.
L’intervento di Don Samuele Ceccotti, cappellano del Movimento e vicepresidente dell’Osservatorio Internazionale Card. Van Thuan per la Dottrina Sociale della Chiesa, ha affrontato il tema “Le gilde o corporazioni di arti e mestieri: un’alternativa ai sistemi dei partiti”. Don Samuele ha spiegato che le corporazioni delle arti e mestieri, o gilde, erano associazioni nate nel XII secolo in molte città europee, con l’obiettivo di regolamentare e tutelare le attività degli appartenenti alla stessa categoria professionale.
L’idea delle corporazioni contrasta con le attuali politiche europee, dove prevale il pensiero: “Se non possiedo nulla, non ho più un legame stabile con una casa, con un’impresa, con un territorio. Si creano così le condizioni per uno sradicamento e un perenne nomadismo. L’ideale della società delineato nell’Agenda 2030 si riassume nell’espressione: “Non possiederai nulla e sarai felice.”
Si prospetta un sistema socioeconomico in cui la proprietà privata diventa svantaggiosa, avviandosi verso la sua estinzione.”
La famiglia, i corpi intermedi, l’unione tra capitale e lavoro, la moneta come elemento centrale per lo sviluppo e la prosperità economico-sociale, il territorio: intorno a questi temi si giocano i nostri destini. Esserne consapevoli, anche grazie ad esperienze metapolitiche, qual è quella del Movimento Distributista, è un primo passo per attivare consapevolezza ed immaginare soluzioni all’altezza delle sfide delle società del Terzo Millennio. Avendo presente l’efficace immagine simbolica dell’arco architettonico, proposta da Chesterton: “A sorreggere l’arco è l’uguaglianza della pressione che le singole pietre esercitano l’una sull’altra. L’uguaglianza è al tempo stesso mutuo soccorso e mutuo impedimento”. Il corpo sociale, riassunto nell’arco architettonico, impedisce che le legittime disuguaglianze provochino ingiustizie come la proletarizzazione o l’inadeguato arricchimento di pochi. Questioni sempre aperte, ieri come oggi, a cui occorre dare risposte adeguate.
Giudizio assolutamente negativo su questi teoricismi fuori della storia (e del possibile)
Il nostro Mario Bozzi Sentieri rilancia opportunamente l’idea sociale “distributiva” (vulgo: Corporativa). Fa molto bene, ma modestamente ritengo che almeno alcuni elementi vadano affrontati: -attenzione ad una eccessiva impostazione alla San Vincenzo che trascuri la spinta patriottico-nazionalista per cementare maggiormente un impulso collettivo che porti gli individui a perseguire un forte scopo altruistico che superi qualsiasi spunto semplicemente pietista. Un secondo aspetto (forse condizionato dai comportamenti giovanili di oggi) nasce dalla considerazione che nella possibile probabile maggiore ricchezza nella ipotetica società “distributiva”, una gran parte della stessa disponibilità non venga a stimolare (soprattutto nelle classi più base e meno educate del corpo sociale) spese e comportamenti successivamente asociali come oggi verifichiamo nel caos contemporaneo. Ad esempio: eccesso di interesse per il calcio e il suo tifo, spinta estrema per una ricerca ludica; spreco del tempo libero, ecc.
(Per completare) A proposito del “Distributismo” (termine non certo tra i più eleganti) c’è da dire che prima di tutto l’Italia e l’Europa dovrebbero tentare di ritrovare il filo spezzato della loro civiltà e operare con tutte le loro residue forze per un orgoglioso distacco dai tentacoli dell’anglosfera. Il loro concetto di impero ci impone continuamente scelte autolesive e ben lontane da un possibile risveglio anche solo parapolitico. Questo sempre per non cadere in una forma di elemosina sociale che faccia il verso a decadute spinte socialdemocratiche ormai squalificate e sottomesse.
Ormai è sin troppo evidente che per occupare tutto il posto con il nazional-imperialismo occidentale, a guida esclusiva USA, bisogna rinunciare a qualificanti iniziative autonome.
Purtroppo non è più sufficiente servire con zelo il “padrone”, ma è altresì necessario comparsene la livrea.