Abbiamo avuto il piacere di leggere il recente volume di Francesco Mancinelli, Generazione ’78. Viaggio storico, critico, introspettivo attraverso una comunità di destino, edito da Settimo Sigillo (per ordini: 06/39722155, ordini@libreriaeuropa.it, pp. 432, euro 45,00). Il volume è preceduto dalla prefazione contestualizzante di Ugo Maria Tassinari e, poiché l’autore è anche uno dei nomi più noti tra i cantautori dell’area non-conforme, da un Cd che raccoglie alcune delle canzoni più significative della sua produzione musicale. Il libro è, di fatto, una ricostruzione “dall’interno”, critica e documentata, degli umori, delle idealità, delle delusioni e dei drammi umani, patiti dalla comunità giovanile che, negli anni Settanta, scelse di militare politicamente dalla “parte sbagliata”. Mancinelli, infatti, dopo l‘adesione al Fronte della Gioventù viterbese ha attraversato molte delle esperienze del movimentismo della “destra radicale” romana e ha animato, con i suoi scritti, numerosi laboratori metapolitici di quest’area da Centro Studi Tradizionali a Perimetro.
Influenzato, in modalità diversa, dal tradizionalismo evoliano, dalle idee della Nouvelle droite di Locchi e de Benoist, nonché dalle posizioni rivoluzionario-conservatrici, aderì a “Meridiano Zero”, organizzazione politica che ebbe vita breve, un solo anno. Dal testo si evince che la “via” di Francesco e della Generazione ’78 fu essenzialmente metapolitica. Quella di Mancinelli è stata una generazione che visse un breve sogno rivoluzionario, segnata da due eventi di portata storica che la condizionarono profondamente: gli omicidi Acca Larenzia, la cui memoria storica il “politicamente corretto”tenta oggi di obliare, e la strage di Bologna. Per questo, l’autore ricostruisce, non solo sulla base dei suoi ricordi personali e diretti, ma alla luce della documentazione storica disponibile, giornalistica e giudiziaria, le drammatiche vicende dei “cuori neri” che, durante gli “anni di piombo”, pagarono le loro scelte, con il sacrificio della vita, da Venturini a Mantakas, dai fratelli Mattei a Giaquinto e tanti altri, purtroppo. La generazione che in quel frangente storico militò nel “cattiverio” non aveva più, quale riferimento prioritario, il fascismo storico, aveva maturato contezza che nulla ci si poteva aspettare dalla compromissione con i Servizi, come era accaduto a chi lì aveva preceduti nella stessa area. Tutto ciò non aveva prodotto frutti di rilievo, si era trattato, lo ricorda Tassinari, di tentativi velleitari (per certi versi di “sopravvalutazione” di se stessi e delle proprie capacità politiche).
La nuova generazione militante subì, alla luce di tali acquisizioni, una mutazione antropologica che la portò, attraverso il recupero della battaglia ecologica, del regionalismo, della valorizzazione della cultura, del cambio dello stesso modo di atteggiarsi, lontano da qualsivoglia sterile nostalgismo, nella tolkieniana Terra di Mezzo. I “campi Hobbit” furono la testimonianza di questo cambiamento radicale centrato, tra le altre cose, sul recupero delle manifestazioni musicali della Tradizione con occhio attento al cantautorato di Guccini e De Andrè (in particolare proprio da parte di Francesco). Questi ragazzi, a muovere dal ’77, con la nuova ondata contestativa universitaria, monopolizzata a Roma e Bologna da Autonomia Operaia, dovettero confrontarsi e scontrarsi nelle piazze con i “compagni”. Molti di loro affrontarono il sacrificio supremo, altri pagarono con la carcerazione. La loro scelta politica, in fondo, rileva l’autore, è stata un “alibi” di cui si rivestiva qualcosa di più vero e profondo: la ricerca di un percorso individuale e comunitario che li avrebbe portati a condividere un “Destino” comune. Una via che avrebbe voluto essere davvero “oltre la destra e la sinistra”, tesa a valorizzare, nel mentre si affermavano i primi segnali della governance, l’autodeterminazione dei popoli e delle loro specificità tradizionali. Una via, se si vuole, che aveva al centro il “ritorno degli dèi” e la risacralizzazione della natura e della vita. Via attraversata da una “tentazione sinistra” che mirava a rapporti umani non centrati sulla mera dimensione utilitarista, superante il disagio indotto dalla “società liquida” dei “consumatori consumati”, per dirla con l’antropologo Apparudai, attenta alla giustizia sociale. Una via con il: «cuore a sinistra, ma con il cervello a mille che evocava una destra vendicativa degli Dèi» (p. V). Una proposta che guardava la Risorgimento incompiuto e al fascismo tradito da destra, al socialismo nazionale, lontana dalla “politica politicante” e dai suoi compromessi. La ricostruzione di Mancinelli è empatica, passionale addirittura, di questo mondo, mirata, certo, a rendere onore a chi pagò a caro prezzo le proprie scelte, ma anche a fare, finalmente, chiarezza storica su quegli anni. Analisi critica e introspettiva in uno. Tra le esperienze delle quali Mancinelli fu protagonista, viene ricordata la “Nuova oggettività. Partecipazione, popolo, destino”, fortemente voluta da Sandro Giovannini. Ne parlo non semplicemente, sia chiaro, perché chi scrive fu coinvolto in essa in prima persona. Lo faccio perché ritengo che nelle pubblicazioni a cui, in tale contesto, demmo vita, così come nei numerosi convegni che organizzammo in giro per l’Italia, tentammo di dare una risposta alla ricerca della comunità di Destino al centro del volume che brevemente abbiamo presentato.
Dalla “Nuova oggettività” è forse possibile ripartire. Il nuovo viaggio deve avere quale punto d’avvio la cultura. La Generazione ’78 che tanto ha dato e tanto ha pagato, forse (uso il dubitativo), non osò andare fino in fondo sotto il profilo culturale. Per attraversare davvero il nulla bisogna portarsi nella “terra di nessuno”: leggere gli autori canonici dell’area in modalità non consueta, oltre le ripetitive esegesi scolastiche, aprendoli al confronto con altri pensatori il cui “da dove” è diverso da quello tradizionale in senso stretto, ma con il loro “per dove” è necessario colloquiare. Solo così sarà possibile superare i limiti delle “destre” di governo, conservatrici e liberali, e la stessa proposta impolitica della “destra radicale”. Chi scrive è, da tempo, in cammino lungo questa via. In essa il libro di Mancinelli è viatico indispensabile.
Ancora grazie per la recensione a Giovanni Sessa e grazie anche a Barbadillo per la pubblicazione. Un cordiale saluto da Francesco Mancinelli