Il professor Stefano Pantaleoni ha testimoniato di un ciabattino a Bologna, che lavorava da decenni in una bottega di sette metri quadrati e che ha provato a cederla a una giovane, sua praticante.
Alla giovane è stato chiesto: di aprire una partita IVA; di iscriversi alla Camera di Commercio; poi la Scia, che a sua volta richiedeva una Scia edilizia per la messa a norma della bottega, che doveva diventare almeno 9 mq, più un bagno di 4 mq in comunicazione, non quello del vecchio ciabattino nello scantinato.
Non era tutto. Occorrevano anche la certificazione energetica, la messa a norma della caldaietta, della canna fumaria e dell’impianto elettrico, gli oneri comunali, perché quella bottega era in origine una cantina, e un impianto di ricambio dell’aria, giacché il regolamento non considera la porta una superficie ventilante, poi la sostituzione della vetrinetta non rispondente ai criteri energetici, un corso obbligatorio sulla sicurezza e la nomina di una responsabile della stessa.
E ancora: la variazione catastale, il Pos per registrare gli incassi, le parcelle del termotecnico, del commercialista, dell’architetto, la registrazione del contratto. L’edificio, come accennato, era vincolato dalla sovrintendenza alle Belle Arti, che doveva dare il benestare per il cambio di destinazione e i modesti lavori previsti, rispondendo per legge in 4 mesi. Ma erano passati già 9 mesi senza risposta. Poi 11 elaborati o perizie per installare un’insegna esterna del comune: in tutto 32-ostacoli-32 da superare.
L’aspirante ciabattina ha rinunciato. Altri artigiani chiudono perché è più il tempo che passano a riempire carte che a lavorare.
C’è chi pensa sia solo colpa dell’astrattezza burocratica di legislatori, che non ci conoscono. C’è chi, invece, crede in una distruzione voluta delle storiche economie circolari e dell’arte italiana di arrangiarsi, per sostituirla col lavoro salariato.
Questa politica suicida di posti di lavoro, vocazioni, trasmissioni di saperi può essere ispirata solo da prezzolati di eserciti di occupazione.
Forse è l’ora di farci le nostre leggi, applicarle e farle applicare come forme di obiezione di coscienza serpeggianti anche fra le istituzioni.
Ad esempio: chiunque prende il posto di un artigiano singolo già esistente da almeno 5 anni non ha bisogno di alcun permesso o obbligo aggiuntivo rispetto a quelli già esistenti.
A proposito di comuni ed amministrazioni comunali contrari all’ artigianato e di normative che lo rendono sempre meno praticabile, complicato, burocraticamente e tassativamente difficile, vorrei ricordare quanto Gianfranco Miglio, fondatore della Lega Padana (al tempo) propose per il rilancio dell’artigianato italiano. Prevedendo che l’artigianato si sarebbe s3mpre più ridotto col passare del tempo, presentò un disegno di legge che prevedeva l’abolizione del titolo di studio poco e condizione principale per l’accesso alle libere professioni. La ritenni al tempo un’idea geniale così come oggi la ritengo assolutamente indispensabile. Se tale proposta fosse passata, oggi il nostro paese sarebbe ancora quello che sempre fu, ovvero al centro del mondo economico per la qualità e le
identità del suo artigianato. Se oggi venisse riproposta quella legge, potremmo ancora salvare qualcosa in tale direzione. L’Italia, sempre fu e sempre sarà, un luogo al mondo di artigiani e di creativi. Facilitare questa antropologica vocazione dovrebbe essere uno dei doveri principali di chi ci governa.