Insulti financo sessisti a Kamala Harris che accusa di avere compiuto un colpo di Stato ai danni di Joe Biden, un avversario in declino fisico e psichico bene inquadrato da cuocere a fuoco lento improvvisamente sostituito da una inattesa outsider che, buttando per aria il tavolo e spargendo le carte, lo obbliga a rivedere tutte le strategie.
Minacce di carcerazione a Mark Zuckerberg e non solo (parrebbe a chiunque si opponga).
Esplosioni di collera che lo portano lontano dal programma concordato con il proprio staff, dai temi concreti.
Ovvi conseguenti attacchi da parte avversa, compresi naturalmente i media abbondantemente schierati contro di lui.
I sondaggi (che a questo punto in verità non significano niente ma vengono ininterrottamente sbandierati) che volgono al negativo. Un quadro decisamente allarmante nel quale Donald Trump, per di più sotto minaccia tribunalizia, annaspa.
Un quadro, peraltro, in verità, quanto alle prospettive elettorali, migliore senza dubbio eccome di quello del poi vittorioso 2016 (un clima infuocato e un tangibilissimo odio reciproco) che lo vedeva opposto a una strafavorita Hillary Clinton (oggetto di ogni attacco e contumelia) e di non poco anche del perduto 2020, anno di una devastante pandemia che nessuno era e poteva essere preparato ad affrontare.
Evitando ogni spericolata previsione, un avvertimento rivolto a coloro che lo vogliono morto, avvertimento conseguente a quanto già in precedenti occasioni detto.
In democrazia (e a molti Democratici non va giù), i voti pesano allo stesso modo e quello di uno dei milioni e milioni di ‘deplorables’, come li chiamò Hillary Clinton, vale quanto l’espressione nell’urna dell’intellettuale più sofisticato.
È alla massa indistinta che furiosamente Trump si rivolge con un linguaggio consono, giusto.
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