Le Lamentazioni dei Sumeri sono di quattromila anni A. C. la Bibbia al confronto editata pochi giorni fa. Si tratta di atavici componenti letterari nei quali l’uomo urla la sua disperazione, la sua infelicità. L’uomo è cambiato, oberato da una lunga età di storia, il suo corredo ben diverso, ma il vulnus è rimasto integro: la ricerca della felicità. I saggi religiosi al riguardo sono ambigui o invitano al famoso “carpe diem” di Orazio, cogli l’attimo (non confidare nel futuro) o si arrendono: il patire e il morire sono organi strutturali dell’essere umano, come le braccia, le gambe.
Comunque innumerevoli i tentativi di raggiungere il Nirvana, ovvero non litigare alle assemblee di condominio, non concupire la moglie del vicino.
Alla fiera della vita profeti e ciarlatani, persino alchimisti, hanno offerto e venduto i loro miracolosi intrugli per l’anima. Il dottor Dulcamara dell’Elisir d’amore di Donizetti è il loro degno corifeo.
Gian Paolo Prandstraller nel 1978 pubblica: Felicità e Società, affronta l’argomento in punta di piedi, chiedendo scusa. “È ammissibile, in quest’epoca travagliata, scrivere un saggio sulla felicità?” Precisa subito che il piacere della società consumistica non è felicità ma deprecabile edonismo. L’ ideologia borghese e marxista sono fuse nell’etica calvinistica, con contenuti masochistici. L’una con il sacrificio per il benessere economico, l’altra costringe ad eguale sacrificio per la classe.
L’onda del relativismo comporta la morte dell’assoluto, privilegiando l’oggi. L’eterno è spietato ed autoritario, le istituzioni sono legate a epoche diverse da quella che viviamo. Max Weber lo ha ben rilevato. L’uomo industriale non ha fede ma è caduto nei gangli feroci delle organizzazioni: partito, fabbrica, università. Ostacoli alla liberazione dell’uomo. Per i sistemi capitalistici e socialisti la felicità dei singoli non conta, non figura nei loro programmi. Il capitalismo e il socialismo costituiscono una piovra burocratica che opprime l’individuo. La felicità dell’uomo può essere ampliata in società felici? La felicità non più un traguardo individuale ma collettivo.
Per Prandstraller la felicità è un bisogno e i germi di questa nuova condizione li pesca nelle istanze degli anarchici. Gli anarchicipensatori non quelli che tirano le bombe. Bentham battezza la teoria del benessere sociale. Fourier denuncia l’alienazione dell’eros civilizzato, la tristezza dell’individuo represso. Per Godwin il principale ostacolo per una società felice è la proprietà privata. Proudhon esclude il comunismo con l’individuo soggiogato dalla collettività e il liberalismo del lasciar fare a danno del debole. Kropotkin invoca una scienza dell’etica per la ricerca della maggior felicità per il maggior numero di uomini.
L’autore lamenta che Marx non abbia programmato la lotta con il destino. Dopo la famosa espropriazione, il proletario comefronteggia la paura della morte? I capitoli: Piacere e felicità nel pensiero moderno, Felicità piacere e struttura sociale… Di Nola così riassume il libro: Al pati et esse cum Christo, al soffrire ed essere del dettato paolino, Prandstraller oppone il Gaudeamus dei goliardi medievali. Ahimè i rigogliosi flussi al momento di indicare la terapia diventano rigagnoli. Compaiono le fumose e sporadiche comuni hippy degli anni settanta, i punk. Infatuazione disdicevole considerati gli effimeri e rovinosi risultati. I rockettari spazzati dalle droghe erano felici?
E siamo ai giorni nostri. Ecco irrompere sulla scena Vito Mancuso con il suo inno alla gioia, sembra lo spot di Beethoven all’Europa. Scodella subito gli assi che ha per intimidire i lettori e sono: Seneca, Marco Aurelio, Spinoza… Racconta di un tizio cheinseguito da una belva scappa sull’orlo di un pozzo ma dentro c’è un drago. Non basta! È attaccato ad un cespuglio e due topi lo rosicchiano mettendo a rischio il suo appiglio. Perché tanta sfiga? Per dar maggiore valore all’autore che si impegna a sconfiggere tutti, drago belva e topi. Speriamo che nella confusione della strage non coinvolga anche il poveretto. Infatti così è, il reduce dalla tragica avventura lo sistema in una trappola.
La trappola evoca i topi, i ratti brulicanti di Steinbeck. Meglio draghi, ma lui insiste con le trappole. Vede un popolo di topi in trappola. Si nasce in trappola o ci si finisce dopo per l’esca messa, un boccone di amore o di successo? Boh! Nel libro la trappola sembra scaturire da una storia di donne. Ovidio probabilmente è stanco di Corinna, non sa come liberarsene, ed allora sentenzia: Nec sine te, nec tecum, vivere possum (né senza di te, né con te, vivere posso.) E inguaia tutti compresi gli U2 che la cantano. È il mito di Platone della caverna nella quale i prigionieri incatenati scambiano le ombre per la realtà e non vedono l’uscita.
Il consiglio: per uscire dalla trappola, occorre sapere che ne sei dentro, identificarla almeno in parte, volerlo fare. Lapalissiano.Coloro che non si avvedono di essere intrappolati Eraclito li qualifica “dormienti”. I signorsì: ognuno è gli altri, nessuno è se stesso.
L’autore prende i lettori e li porta in palestra a compiere esercizi spirituali anziché ginnici, egualmente faticosi. La doccia è un’abluzione che li deterge del nichilismo, del relativismoprovocati dall’afasia della morale.
Una delle prove più difficili da superare è godere del successo altrui, lo confermano Nietzsche e Oscar Wilde. Il culto all’io, il narcisismo viene indicato come un nuovo inganno e in questo ribadisce Prandstraller. “Il Dio dei nostri giorni si chiama Io. Noi viviamo nel tempo del Dio Io.” C’è il desiderio fatto lupo da Shakespeare: “farà l’universo sua preda, per poi divorare se stesso.” La mancanza del no, il suo eccessivo esaudimento uccide il sesso, divora lo stesso desiderio.
Mancuso con coraggio affronta le metamorfosi di Dio, Dio è lo stesso ma viene inteso in maniera diversa. È come un sequelmanipolato da registi pagani.
Il messaggio di Heidegger: ormai solo un Dio ci può salvare. Il suo grido contro la tecnica che l’uomo non riesce a dominare e lo strappa dalla Terra.
Mancuso è il grillo di noi pinocchi, il vate del nostro impossibile. Il libro è un invito alla gioia di vivere, una gioia che è realtà non finzione. Che implica l’organizzazione, la disciplina dell’io interiore come Gramsci scriveva per la cultura.
Il libro un breviario di quello che dovremmo fare, lo sappiamo, e non facciamo, lo sappiamo. Avrà il nostro plauso ma imperturbabili resteremo nella trappola, nella caverna. Se ci fossero ancora gli strilloni dei giornali i suoi avvertimenti andrebbero strillati. L’ottimismo. Santifica l’ottimismo di Bonhoeffer, non del tutto andrà bene ma del io resisterò. L’ottimismo è la salute della vita.
In fondo Mancuso ha messo il frac al detto popolare: chi si accontenta gode. Consiglia di non cogliere la mela del sapere insano. Nell’epilogo l’autore è nel pozzo, non avrà letto il libro. Gli animali sono rientrati allo zoo, il drago era un gonfiabile. Ah i due topi erano uno bianco e uno nero. Siamo sicuri di voler essere felici? Ci sarà la disoccupazione di avvocati e giudici, truffatori e ciarlatani, politici. E sai la noia, dopo…