Arturo Pérez-Reverte è uno dei più famosi scrittori spagnoli ed è anche noto per esprimere le proprie opinioni sempre fuori dai denti e per prendere posizioni scomode in campo culturale. Ha difeso il castigliano minacciato dai neologismi politicamente corretti (è membro della Real Academia Española de la Lengua), ha criticato la cultura gender e woke, ha attaccato gli eccessi dell’Unione europea. Nei giorni scorsi dalle colonne di XL Semanal, settimanale del quotidiano ABC, ha affrontato senza peli sulla lingua un altro degli argomenti tabù dell’Europa contemporanea: l’immigrazione. E lo ha fatto prendendo spunto da un recente viaggio in Italia.
«Sono nel dehors di un bar di una città del nord Italia e in mezz’ora vedo passare una dozzina di donne musulmane con il volto completamente coperto tranne gli occhi. Alcune di loro tengono per mano i bambini e altre portano i carrelli della spesa. Vedendole penso alla fredda fatalità della Storia, a come la trasformazione geopolitica dell’Europa avvenga oggi attraverso i barconi e le ondate di immigrati siano un fattore irreversibile di civiltà. Di un mondo nuovo che non assomiglia per nulla all’altro. Però, concludo, accorgersene quando si è vecchi e si ha una biblioteca non è poi drammatico né terribile. La storia è fatta di civiltà crollate, e non sempre si ha il privilegio di assistere al declino di una di esse».
Secondo lo scrittore spagnolo, del resto, l’Europa è sempre stata una terra meticcia segnata dal passaggio di popoli e razze. Tuttavia adesso c’è qualcosa di diverso.
«Non si tratta più di lingue, territori o religioni, ma di conglomerati socioculturali, città balcanizzate in comunità estranee tra loro. Un’altra Europa sta arrivando e non si può fare nulla per impedirlo. Forse non è mai stato possibile, e ora i rintocchi dell’orologio della Storia suonano più forte. Mettiamo le cose in chiaro: l’immigrazione non va fermata né è possibile farlo, perché oltre ad essere inevitabile, è necessaria. Senza quella forza lavoro, senza sangue fresco, la vita qui sarebbe insostenibile, l’economia finirebbe per andare a rotoli, la piramide demografica sarebbe mostruosamente invertita e la sicurezza sociale sarebbe impossibile. Il cittadino europeo, cresciuto nel benessere e da esso indebolito, viene rimpiazzato dal sangue giovane, dall’ambizione legittima e dalla tenacia di persone più dure e affamate. Basta uno sguardo per vedere chi merita il futuro e chi merita il declino. Il multiculturalismo è una favoletta. La storia dimostra che alcune culture ne spingono altre, assorbendole, ma finisce sempre per prevalere quella più forte. E nell’Europa di oggi, la più coerente è l’Islam. Questo, secondo me, è il problema principale del Vecchio Continente: un conflitto insolubile, conseguenza della codardia, dell’avidità e della stupidità europea. Tutti i governi, temendo di essere definiti islamofobi o razzisti, commettono da decenni gli stessi errori, senza imparare nulla dai problemi di sicurezza, dalla spontanea formazione di ghetti e dalla progressiva attuazione delle leggi islamiche nelle nostre città e nei nostri paesi».
L’Europa è cieca e sorda, avverte Pérez-Reverte (nella foto a fianco), non vuole vedere le atrocità del fondamentalismo islamico nei suoi Paesi di origine, contro la libertà di espressione, la democrazia, l’uguaglianza di genere o l’orientamento sessuale. Infamie, sostiene, che tendono a riprodursi anche in Europa, eppure malgrado i vicini esempi della Francia (e della Gran Bretagna, aggiungerei io, ndr), la Spagna dimostra un’apatia che sconfina nel comportamento criminale. Esattamente come l’Italia, verrebbe da aggiungere.
«Il fatto è che in Spagna, come nel resto d’Europa, ciò che interessa è trarre vantaggio dall’immigrazione, spacciando l’assenza di conflitti visibili come prova di assimilazione e integrazione. In cambio, la classe imprenditoriale ottiene manodopera schiava a basso costo. E anche la sinistra che grida di più ha i suoi vantaggi: dimenticando le donne che subiscono ritorsioni e uccisioni nel mondo islamico, la demagogia europea, che vive di truffe sovvenzionate, ha la possibilità di innalzare striscioni ed esibire kefiah, di chiamare bambini dei delinquenti di diciassette anni, di dare del razzista a chiunque protesti perché gli rubano il cellulare o gli violentano la figlia; e di manifestare in sostegno degli integralisti musulmani (che confondono con i musulmani in generale) miscelandoli con gli emarginati della Terra, la lotta contro il capitalismo e l’imperialismo americano».
Nel lungo articolo su XL Semanal lo scrittore sottolinea che in Europa poche donne ricordano la dura lotta delle femministe algerine contro l’integralismo islamico nel loro Paese, così come non lo fanno le popolazioni musulmane immigrate da noi. E qui Pérez-Reverte evidenzia un’altra enorme contraddizione che i governi europei fingono di non cogliere.
«Gli immigrati musulmani si lasciano alle spalle la miseria ma portano qui la loro religione e il loro stile di vita. Poiché l’Europa, egoista e stupida, non è stata in grado di offrire loro una vera integrazione e uguaglianza, si sentono più a loro agio con i propri metodi e costumi. Ecco perché una buona parte degli immigrati musulmani non educa i propri figli con la mentalità del Paese ospitante, ma con quella del Paese da cui proviene. Hanno le loro moschee, i loro quartieri, le loro scuole e la loro televisione; godono di diritti impossibili nei loro Paesi d’origine, ma quando si tratta di rispettare gli obblighi pretendono un trattamento diverso a causa della loro religione. E poiché non sono affatto stupidi, si affidano alla nostra stessa retorica. I giovani ci disprezzano come deboli e senza valori, mentre vedono l’Islam radicale come forte e attraente. “L’Europa è il cancro”, gridano, “l’Islam è la soluzione”. “Con la tua democrazia distruggeremo la tua democrazia”. C’è una parola inventata dai greci: “oikofobia”, odio per la casa, per il luogo in cui vivi».
L’Europa contemporanea è malata di “oikofobia”, lascia intendere lo scrittore spagnolo, perché non solo la “casa comune” è odiata da gran parte degli immigrati che non si vogliono integrare, ma persino da molti cittadini europei che predicano l’accoglienza totale e assoluta, basti pensare alle campagne in Italia all’insegna di slogan come «porti aperti» e «accogliamoli tutti». Su un punto Pérez-Reverte è categorico:
«Nessuno osa dirlo, ma questa è l’Europa. Apparteniamo a una civiltà superiore in diritti e libertà. Qui non governano le chiese o le moschee; trattiamo le donne come esseri liberi, non come proprietà di mariti e parenti maschi, e non dobbiamo nasconderle o coprirle perché dovremmo essere educati a rispettarle. In questo l’Europa è molto più avanti ed è il motivo per cui migliaia di emigranti vengono qui per rifugiarsi o guadagnarsi da vivere. Il problema è che per loro le regole del gioco non sono mai state fissate in modo chiaro, non gli è mai stato detto qui puoi trovare un lavoro e rispetto, ma a tua volta devi rispettare le regole: devi mandare i tuoi figli in scuole che li integrino, non dare della puttana a tua figlia o alla mia perché indossa una minigonna, non farla sposare con la forza, non mutilarle il clitoride, non coprirle il viso o la testa quando ha la prima mestruazione. Impariamo gli uni dagli altri e andremo d’accordo; in caso contrario là c’è la porta. Ma questo non è stato fatto quando ancora lo si poteva fare, ora è tardi. E l’Europa ne paga le conseguenze».
L’autore critica certe concessioni ai costumi islamici, come la possibilità di portare il velo anche qui, addirittura quello integrale. Nell’Europa laica il velo non può essere considerato un simbolo di libertà, sostiene Pérez-Reverte, perché invece altrove, nei Paesi musulmani, è solo simbolo di rassegnazione e sottomissione. E a suo parere le femministe europee che rivendicano il diritto di indossare il velo per le ragazze in Europa, insultano e abbandonano al loro destino le tante donne che lottano per la propria libertà nei Paesi islamici.
«Ognuna di queste concessioni è una battaglia persa in Europa, che spesso non capisce neanche di averla combattuta. Il fondamentalismo islamico è sempre più arrogante e audace, un giovane su due o tre di origine musulmana pone la propria identità religiosa al di sopra di quella nazionale, è d’accordo con la legge coranica e sostiene che ogni trasgressione a questa debba essere duramente punita. In alcuni luoghi d’Europa la polizia islamica degli imam radicali agisce nell’impunità: le donne non musulmane vengono insultate per strada, nessuno sporge denuncia per paura di ritorsioni, chi si ribella è condannato alla morte sociale all’interno della comunità. Presto per poter entrare in alcune zone musulmane gli agenti delle forze di polizia dovranno essere loro stessi di religione islamica; oppure ci dovranno andare andare numerosi e armati, come già avviene a Parigi, a Genova, a Marsiglia».
Con questo veemente articolo, tuttavia, Pérez-Reverte non intende lanciare nessun allarme, non vuole gridare “al lupo, al lupo!”, perché a suo avviso non c’è già più nulla da fare. Le sue sono le considerazioni amare di un intellettuale che vede il declino della propria nazione e del proprio continente nell’indifferenza quasi generale.
«Non esiste una soluzione. Sbaglia chi dice che non sta succedendo nulla e sbaglia anche chi prevede un’imminente apocalisse islamica. Tutto avviene lentamente e naturalmente. È solo la Storia che gira le sue ruote. Ci vorrà ancora tempo, perché trenta secoli di civiltà non possono essere cancellati da un velo islamico. È interessante, in ogni caso, assistere al declino di un mondo con la lucidità che ci fornisce la cultura, che in questo senso funge da analgesico: non elimina la causa del dolore, ma aiuta a sopportarlo. C’è però una domanda che mi arrovella e non vivrò abbastanza a lungo per conoscerne la risposta: gli immigrati musulmani che si sono stabiliti in Europa e la trasformeranno, facendola sempre più propria, riusciranno forse a uscire dalla miseria che si sono lasciati alle spalle. Ma chi fuggirà dal rigore islamico e dalle sue conseguenze, dove andrà a cercare rifugio quando tutta l’Europa sarà diventata una moschea?»
(traduzione di Giorgio Ballario)
Non prevale l’Islam (magari), prevale il Lumpen agnostico africano-balcanico-asiatico (meridionale). Cioè nulla di positivo, percettori di scampoli residuali di Welfare e poderosi attori della Terzomondializzazione e criminalizzazione dell’Europa. Nessuno si lasci ingannare.
E’ triste dirlo ma è la verità che più verità di così non si può. Grazie al traduttore
Magari una moschea! Il futuro ci riserva cose ben peggiori….
Jonesco in fondo l’aveva previsto in quella mirabile commedia che è Il rinoceronte. Analisi lucida e impietosa, ma non c’è nulla di irreversibile nella storia, forse la catastrofe ecologica immane è imminente farà piazza pulita di eurocrati e mussulmani