Accanto alla tristezza di cui abbiamo esperienza quotidiana per i rovesci o le difficoltà che la vita incessantemente ci presenta e che formano, accanto alle gioie, le note che ciascuno di noi scrive sul pentagramma della vita, c’è una tristezza per così dire esistenziale, legata al sentimento del tempo, alla percezione della nostra umana finitudine. Una tristezza che, come dice Mogol con parole poetiche, cantate splendidamente da Lucio Battisti, «quando cade in fondo al cuore come la neve non fa rumore».
Sennonché accanto a questa tristezza “esistenziale” se n’è aggiunta un’altra, collettiva, legata al nostro modo frettoloso e inautentico di vivere, una sorta di sottofondo malinconico proprio del mondo moderno, una sorta di inerte inconscia disperazione che si avverte nei volti non più sorridenti della gente per strada, quella strada ormai sottratta ai ragazzi che non possono più correre, saltare, tirare quattro calci al pallone, perché non appartiene più a loro, ma alle auto, non più alle loro voci e grida, ma al rombo petulante dei motori. Dei fanciulli che per strada «battono le monete. Rosse contro il muro» e che «gridano a squarciagola in un fuoco di guerra» e «si scambiano motti superbe e dolcissime ingiurie» non restano che il ricordo dei più anziani e i versi memorabili che loro dedicava Leonardo Sinisgalli.
Nell’enciclica Laudato sii (2015) papa Francesco scrive testualmente al capitolo 21: «la Terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da spazzatura». E, criticando senza mezzi termini l’industrialismo, nel capitolo 20 afferma: «La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri».
I giovani oggi sono costretti a dare sfogo alle proprie energie negli stadi, nel chiuso delle palestre, nei grandi raduni dei concerti pop, in quella sorta di batterie che sono le discoteche, nelle interminabili e inconcludenti botta e risposta dei social. E a volte purtroppo inseguono paradisi artificiali e illusori che li distruggono. Un mondo artificiale ha quasi del tutto soppiantato un mondo naturale. E questo ci rende tristi.