Anno 1862 a Milano. Cletto Arrighi pubblica il romanzo “La scapigliatura e il 6 di febbraio”. Una parola che da concetto astratto si tramuta in un modo di vivere, con anime navicelle che non troveranno più la sponda amica. Il campanile sul ramo del lago di Como batte i rintocchi funebri al romanticismo. Il livello lacustre è gonfiato dalle lacrime della Ninetta del Porta.
È la Milano dello sciopero dei fumatori, il sacrificio per danneggiare l’impero asburgico invasore. C’è stata la vampata delle epiche cinque giornate, la popolazione contro le truppe austriache. I Martinitt, i ragazzi orfani, a far da staffetta. Le barricate, il feldmaresciallo Radesky dal Castello Sforzesco fa sparare col cannone sulla città. L’Arrighi ha partecipato alla lotta. Amatore Sciesa viene fucilato per l’affissione di manifesti rivoluzionari a Porta Ticinese. Doveva essere impiccato ma non c’è l’incaricato. In chiesa c’è ancora il lezzo di sego del caporale baffuto del Giusti. La Milano che fascia gli zoccoli dei cavalli per non disturbare il riposo del maestro Verdi. Brambilla lavora alla Grondona per la produzione di materiale ferroso.
Lo Stato finalmente si è unito ma deve ringraziare i cugini francesi. Si lecca ancora le ferite riportate nelle sconfitte di Custoza e Novara. A Vienna, nel museo, ci sono le bandiere insanguinate dei nostri studenti universitari. Adesso, con l’Europa unita siamo tutti fratelli perché non ce le ridanno? A fine anno come tanti bamba a battere le mani ritmando la marcetta di Radesky. Festeggiamo il generale austriaco crudele persecutore dei patrioti italiani…
Loro, gli scapigliati, alle spalle hanno un passato patriottico con la Compagnia Brusca, un convinto intento di insurrezione contro la dominazione austriaca. Ci sono le “serenate” dei cospiratori alle pattuglie incontrate per sventura con l’incubo dello Spielberg: “l’albergo senza ritorno”. Per loro il Paese è una leggiadra fanciulla da liberare dalle grinfie di Cecco Beppe. Questo avviene,c’è il clamore, l’entusiasmo. Ma poi che accade? La donna fa la ritrosa, li ignora. Loro non accampano diritti ma hanno battagliato per la sua illibatezza e lei li tradisce con i banchieri, i droghieri, come lamentano. Cede alla corte del capitalismo industriale, alla società mercantile.
Viene demolito il chiostro di Chiaravalle per far passare la linea ferroviaria. Ci lavora Brambilla. Alessandro Manzoni inizia il saggio sulla rivoluzione francese e italiana, non la finirà mai. Ad alcune strade vengono apposti nomi risorgimentali, all’esecuzione provvede Brambilla.
Poeti e pittori si sentono reietti, vinti dal fango. La fuga dal reale diventa una poetica. Il poeta della scapigliatura è un cieco cantore non è il veggente di Rimbaud, scrive la Mondello. Si rifugiano nel magico, ma soprattutto diventano pagani. Pagani della vita e di loro stessi. Si posizionano in una trincea che diventa la loro fossa. L’osteria la loro accademia. Sono contro il moralismo, l’egemonia borghese. Il vino, l’assenzio, la fata verde che ti inebria e ti scalpella l’animo. “Ti farò vincitore sulla tua disperazionecannibale,” sgorga subdola, ambigua. Il loro corpo un cantiere di distruzione. Le bottiglie, i bicchieri sono i monatti loro accompagnatori presi in prestito dal Manzoni. Gli scapigliati, anticlericali e repubblicani, imperverseranno dal 1860 al 1890. Un girone infernale di maledetti, i maudits. Per loro la catarsi è una purga. Antimanzoniani ma loro malgrado sprizzano fiotti di romanticismo avariato, guastato. Sono contro la scienza: “Scienza vattene, ridammi i mondi del sogno e l’anima!” (Tarchetti)
Sono antifemministi. Predicano e diffondono con le loro opere l’estetica del brutto. E brutte diventano le donne come la Fosca di Iginio Tarchetti. Fosca è scheletrica, ripugnante. Ecco cosa luipensa di lei: “Quella creatura selvaggia, resa terribile dalla deformità e dalla malattia, chiedeva a me l’ultima prova.” Una nebbia oscura l’intelletto al protagonista e cede. Lei: “Sii mio! Sii mio!” Quell’amplesso fu lungo e penoso e ci sono ritrosie ispirate dal ribrezzo. “Quando si levò non era più lui”. La storia ricalca un fatto vero con la differenza che nel libro Fosca si allontana e muore mentre invece nella realtà sarà l’autore, il Tarchetti, a dipartire. Senza neppure finire la tresca, fa copulare Fosca dall’amico Salvatore Farina. Volutamente? Preferisce l’aldilà?
Comunque l’acme del disamore per una donna è dispiegato ne “Il canto dell’odio” di Olindo Guerrini, alias Lorenzo Stecchetti. La sua donna è là “sotto la terra grassa.” È ridotta male: “marcie le gote… i denti malfermi… nelle occhiaie tue fetenti brulicheranno…” Il rimorso la rosicchia. Olindo perfino la morde, graffia il ventre impudico. Perché? Sembra che lei sia stata generosa con i soldati, che abbia deriso il suo amore. “Per te mi sarei fatto schiavo,” le confessa. I critici per il contenuto scabroso la proscrivono dalla poesia lirica, un inciampo da eludere, non così Fabrizio De Andrè che vi attinge: “… a te che sei costretta per tirare avanti a vendere Cristo e i Santi.” E “Quando tu sarai vecchia” diventa il “Valzer per un amore.”
Un giorno Tronconi e Praga incontrano in una bettola Brambilla, lì per molare i coltelli. Lo invitano a fermarsi, c’è un piatto di carciofi conditi con il pepe, un buon vino. Senza dirselo i due scapestrati intrigano di inciuccarlo ma lui è quasi astemio, soffre di bruciori allo stomaco. Disdegna il tutto. Lo lusingano: vedono in lui l’homo faber, gli dicono. Lo incensano. Tu sei artefice degli strumenti noi del nostro destino, gli spiegano. Empirici: “Tu scagazzi il fare noi seminiamo il dubbio.” E poi il lavoro… Il lavoro è la pena imposta per espiare il peccato di Adamo ed Eva, ma se uno non è religioso? Un attacco al suo attivismo, a confonderlo. Niente, i sofismi sono inutili. Il lavoro è la corteccia del Brambilla, fa parte di lui. Intaccabile. Praga si mette a disquisire che possiede due anime e Brambilla li saluta. L’indomani deve appollaiare la statua di San Amedeo nel Duomo, per i Savoia. Nell’uscire si raccomanda che vadano al circolo, per sant’Ambroeus donano il panetun. Il Tronconi avrebbe voluto raccontare la sua Passione maledetta. Della contessa Emma e di Abele, l’amante. La sua teoria sull’erederietà del male. Peccato!Nel 1880 Brambilla accende al caffè Gnocchi in Galleria la prima luce elettrica.
Il tempo della Scapigliatura è quasi terminato. Irrompe la tribù dei Malavoglia, sfigati e rumorosi, a distrarre i lettori dai necrologi degli scapigliati. Per l’alcol e le droghe ingerite, per l’inedia, la tisi se ne vanno. Si suicidano nella stagione della giovinezza, oltre a questa la vita non ha senso. L’urgenza: La jeunesse n’a qu’un temps! O scompaiono mentre rincorrono le Arpie di Astolfo, sparpagliate dalla demenza. Il Ravani, mummificato, viene portato in processione. Dopo arriverà la Deledda, morigerata, con le sue canne a coprire i tumuli, con pudicizia.
Come loro amarcord abbiamo Puccini con la fioraia Mimì dalla gelida manina e Leoncavallo che, birbante, lo copia. Ambedue hanno aspirato le voluttà del romanzetto La Bohème di Murger.Nel calderone beat qualcosa di loro ribolle. Tra i cani sciolti della Pivano c’è una frangia che persegue solo l’edonismo fine a se stesso, trascurando le ideologie.
E resta Milano… Milano, la grande metropoli con lo smog che atrofizza i polmoni dei bambini. I grattacieli degli arabi bucano il cielo, piovono topi grigi. Le valanghe di dinè riciclati… Forse gli scapigliati prevedevano tutto questo e lo combattevano ma urlavano al deserto. Il loro canto un coro di insolenti ubriaconi che disturbava il riposo di Brambilla. Ssst! domani deve lavorare.