La prima analisi critica selettiva e “dall’interno” del complesso pensiero del discusso filosofo russo, chiarificando alcune sue radici spirituali, precisando aspetti differenziali rispetto all’opera di Julius Evola, sottolineando tensioni fra i suoi carismi tradizionali e il suo spirito rivoluzionario e individuando infine in un cuore magico ed esoterico transculturale il nucleo essenziale del suo processo ermeneutico. Il tutto sulla scia di una rilettura della filosofia occidentale quale post-hegelismo al cui interno Dugin assumerebbe una posizione “di centro”. Ecco, dunque, che comincia un’analisi serratissima, passando al vaglio alcuni punti della dottrina duginiana che risultano a tutti gli effetti necessitanti di un chiarimento o, meglio ancora, di una sfida, che consiste nel mettere Dugin contro Dugin, come per l’appunto dice il titolo dell’opera presente. Uno specchiarsi che l’Autore suggerisce e mette in atto tramite l’ausilio di personaggi e situazioni abilmente orchestrati, come nella regia di un bel pezzo teatrale, in cui niente è posizionato a caso se si vuole far sembrare tutto naturale. Troviamo allora Evola, Hegel, Nietzsche, Eraclito, Rasputin e altri nomi noti come compagni di viaggio nello scorrere del copione, stagliati su scenografie che passano dal mito classico all’esoterismo, dal linguaggio alla metafisica, riuscendo a non tradire mai il paradosso.
Dugin, d’altronde, è un personaggio eclettico e poliedrico, difficilmente inquadrabile secondo modelli preconfezionati. Non si possono analizzare le sue opere credendo di saperne già qualcosa, pena il rischio di non capirci niente. Dugin è ermetico nel senso etimologico del termine: figlio di Hermes per la sua missione profetica, mercuriale nella operatività politica, alchimista delle civiltà, cartografo pioniere di un mondo multipolare prima che ancora se ne capisse il significato, sigillato nella sua più intima dimensione esistenziale. C’è, in tal senso, un’esigenza di esplorazione del suo linguaggio simbolico o, meglio, di quello di cui si è fatto portatore attraverso il dispiegarsi delle sue numerosissime opere, perché senza entrare nella forma mentis, nel Nous, restano precluse molte vie di comprensione. Dugin d’altronde è un filosofo ancora vivente, contemporaneo a tutti gli effetti e come tutti i veri pensatori, che si evolvono e rifuggono la fissità del cemento a favore del moto cosmico delle stelle, ha dei punti contraddittori, ha delle versioni contrastanti, ha dei cavilli da risolvere. Nessun filosofo è mai stato “salvato” aprioristicamente, tutti devono passare nel finissimo setaccio degli studiosi, la cui funzione è quella letterale di coltivare con zelo e devozione; dunque anche di recidere rami marcescenti, di correggere una crescita scorretta, di concimare con il contraddittorio e l’analisi critica affinché ne esca un prodotto ancora migliore.
L’autore
Giornalista, saggista, conferenziere, mitografo, curatore-critico di arte contemporanea, funzionario del Ministero della Cultura dal 2001, Prati esordisce come autore nel 2013 con la pubblicazione di una sua traduzione dell’Apocalisse di Giovanni e del Cantico dei cantici di Salomone. Il suo particolare metodo ermeneutico-narrativo si autodefinisce “immersivo, centripeto, isomorfico, mitogonico” e procede con l’unico fine di “raccontare l’antico come fosse coevo e il contemporaneo come fosse antico”.
Dugin versus Dugin, di Giacomo Maria Prati, Libreria Europa edizioni, acquistabile qui