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Il punto. Francia, ha vinto una (dolce) union sacrée senza un vero programma

Il Rassemblement National, potrà forse far tesoro dei passi falsi degli avversari - e del governo che ne scaturirà - in occasione delle elezioni presidenziali del 2027

by Massimo Lavezzo Cassinelli
11 Luglio 2024
in Corsivi
0
Il raccolto delle forze politiche al primo turno in Francia

Il revient à ma mémoire
Des souvenirs familiers
Je revois ma blouse noire
Lorsque j’étais écolier
Sur le chemin de l’école
Je chantais à pleine voix
Des romances sans paroles
Vieilles chansons d’autrefois

(Charles Trenet, “Douce France”)

Apriamo queste brevi note di commento ai risultati delle recenti elezioni legislative francesi citando una delle più note composizioni di Charles Trenet: versi di nostalgia nei riguardi di un dolce passato che non c’è più, ma che resta nella mente dell’autore come un viatico di gioia e di bellezza.

“Douce France” fu scritta nel 1943, in piena guerra, quando l’esperienza del primo Front Populaire di Léon Blum era ormai conclusa da anni e prima che il grande chansonnier, sostanzialmente apolitico, fosse (a torto) accusato di collaborazionismo con gli occupanti nazisti. Oggi i suoi versi potrebbero al contrario essere utilizzati da molti esponenti della nuova union sacrée che, al secondo turno delle legislative, ha impedito il trionfo della destra di Marine Le Pen, per esporre il proprio programma politico. Un programma che, a tutta evidenza, non esiste, ma si risolve appunto nella nostalgia di un dolce passato “repubblicano” che, nonostante la vittoria del 7 luglio, difficilmente tornerà a riproporsi.

E’ pur vero che la delusione, per Le Pen e Bardella, deve essere stata cocente, perché non prevista almeno in queste proporzioni: ma è un fatto che il sistema elettorale a doppio turno della V Repubblica francese fu costruito a suo tempo per scoraggiare le ali estreme, a tutto favore di quello che, allora, era il “grande centro” gollista. In questo senso, l’unica vera anomalia è in realtà fornita dall’inclusione di una di tali estreme, France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, in quel “fronte repubblicano” invocato dal Presidente Macron.

Uno sguardo ai risultati elettorali permette di andare al di là dei proclami di vittoria della sinistra. Hanno votato al primo turno 49,3 milioni di francesi; al secondo, 43,3. Nonostante i 6 milioni in meno, la percentuale dei votanti sugli aventi diritto è stata più o meno la stessa, 66,7 % contro 66,6 %: e ciò risulta ovvio, dato che il primo turno aveva già eletto i deputati di 72 circoscrizioni (su 577), che di conseguenza non sono andate al ballottaggio.

Alla luce di quanto sopra, esaminiamo adesso i voti ottenuti dalle tre principali formazioni politiche: il Rassemblement National ha ottenuto 10,6 milioni di voti al primo turno e 10,1 al ballottaggio, con una percentuale che – tenendo conto di quanto sopra – non è diminuita ma si è al contrario incrementata, passando dal 33,2% al 37,1%; stessa cosa per l’alleanza centrista Ensemble di Emmanuel Macron (da 6,4 a 6,3 milioni di voti; dal 20% al 23,1%). Diversa sorte per il Nouveau Front Populaire di sinistra ed estrema sinistra, passato dagli 8,9 milioni di voti del primo turno ai 7 del ballottaggio ma, soprattutto, diminuito anche dal punto di vista percentuale (dal 28,1% al 25,7%).

E’ stata dunque esclusivamente la scelta tattica della desistenza a favore del candidato di Ensemble o del NFP meglio piazzato al primo turno a determinare la vittoria delle formazioni di sinistra e di centro: una scelta del tutto legittima e anzi opportuna per chi l’ha fatta, ma che ha senza dubbio causato una forte distorsione della volontà popolare, giacché il primo turno di appena sette giorni prima aveva fornito un responso molto chiaro a favore della destra, come del resto le elezioni europee dello scorso 9 giugno.

I patti di desistenza – già utilizzati con successo nel 1996 in Italia fra l’Ulivo di Romano Prodi e Rifondazione Comunista, ovviamente in condizioni e con regole molto diverse – restano dunque strumenti capaci di favorire il successo elettorale, soprattutto in presenza di un sistema a doppio turno. Ma, in prospettiva, non garantiscono una chiara governabilità, soprattutto perché non presuppongono la convergenza, o quantomeno la compatibilità, dei programmi dei “soci”. Riteniamo che tale nodo verrà presto al pettine a Parigi, ove molto difficilmente l’estrema sinistra di Mélenchon potrà essere utilmente associata al governo del Paese. Quanto al Rassemblement National, potrà forse far tesoro dei passi falsi degli avversari – e del governo che ne scaturirà – in occasione delle elezioni presidenziali del 2027: cosa che, riteniamo, non sarebbe stata certa in caso di vittoria il 7 luglio e conseguente coabitazione fra l’astuto Macron e il forse troppo giovane Bardella.

Insomma, anche questa volta, per tornare a Trenet, i francesi hanno cantato “vecchie canzoni d’altri tempi”; ma potrebbe essere davvero l’ultima.

Massimo Lavezzo Cassinelli

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Tags: franciaMassimo Lavezzo Cassinellirassemblement national

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