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La storia della statua della Vittoria atlantica

Tutti gli avventori non possono che restare estasiati di fronte a tale opera. Molte persone, anche estranee alla Forza Armata, hanno potuto ammirarla in varie occasioni, tra le più popolari quella delle giornate del FAI

by Apium
3 Luglio 2024
in Cultura
1

La Vittoria alla 1^ mostra dell’Aeronautica

A corollario dell’articolo di Michele Salomone in occasione della ricorrenza dei 90 anni dalla I Mostra dell’Aeronautica tenutasi a Milano nel 1934 negli ambienti del Palazzo dell’Arte (meglio conosciuta come Triennale), vale la pena raccontare una storia curiosa che prende l’avvio proprio da quella Mostra: la storia della statua della Vittoria atlantica.

L’opera, denominata Vittoria dell’aria o Vittoria atlantica fu eseguita dallo scultore Arturo Martini, su commissione del Ministero dell’Aeronautica, per celebrare la trasvolata nell’America settentrionale effettuata nell’estate del 1933 da 24 Savoia Marchetti S55X agli ordini del generale Italo Balbo, allora Ministro dell’Aeronautica, in occasione del decennale della fondazione della Regia Aeronautica.

Il Martini realizzò una gigantesca figura femminile, la Vittoria, con ai piedi due delfini e sostenuta in volo da 25 uccelli stilizzati – quanti furono i velivoli in partenza dall’Italia.

L’imponente statua fece mostra di sé nella sala della Crociera del Decennale in occasione della Mostra per poi essere riproposta nel 1937 a Parigi per l’Exposition Universelle. Essa costituisce uno dei maggiori esempi del Martini monumentale.

Fu riportata a Milano e sistemata, quasi abbandonandola, in un deposito comunale. Per anni se ne persero le tracce e certo gli eventi bellici non facilitarono le cose.

Nel 1940 fu completato il palazzo per l’Aeronautica di piazza Novelli. Il progetto, a cura del ing. Luigi Lorenzo Secchi – che aveva curato tra l’altro la progettazione della piscina Cozzi e della Casa del Mutilato – prevedeva per il salone di rappresentanza un decoro con affresco, opera accessoria che tuttavia comportava un esborso in denaro in un momento delicato per le finanze del paese.  Ragion per cui il generale Briganti, allora in forza al Comando della 1^ ZAT di piazza Novelli (ora sede del comando 1^ Regione Aerea), per l’allestimento delle sale decise di visitare i depositi comunali d’arte del comune di Milano. Il Briganti, mentre si muoveva in uno di questi depositi accompagnato dal Podestà, si imbatté nella statua che però subito non riconobbe. Egli infatti scrisse: “… Mentre attraversavamo un prato, inciampai in un oggetto solido, coperto di erba; ci fermammo e scoprimmo una grande statua in bronzo abbandonata. Si trattava dell’opera di Arturo Martini, alta cinque metri e dal peso di molti quintali….La liberammo dalle erbacce, la esaminammo attentamente e, mi pare, che si trattasse di un’opera importante, molto adatta al Palazzo dell’Aeronautica. L’opera venne trasportata nella nostra sede in attesa di definitiva sistemazione…. Quando il salone fu completato la feci collocare al di sopra della cattedra, dove si trova tuttora”.

Una scoperta quasi fortuita, che però ha valorizzato sia la statua che l’edificio la ospita.

La Vittoria Alata da quell’anno ha visto moltissime importanti avvenimenti e tuttora il salone viene utilizzato per incontri di alto livello e internazionali. Tutti gli avventori non possono che restare estasiati di fronte a tale opera. Molte persone, anche estranee alla Forza Armata, hanno potuto ammirarla in varie occasioni, tra le più popolari quella delle giornate del FAI durante le quali il palazzo si è aperto alla popolazione che così ha potuto ammirare la maestosità della figura ma al tempo stesso la leggerezza di quella donna dallo sguardo transumanato e vestita di un drappo leggero che sembra veleggiare nell’aria. Un’opera che ha rischiato di essere dimenticata o non valorizzata adeguatamente. Una figura che continuerà a diffondere l’essenza del volo anche per il futuro.

Apium

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Tags: apiummilanovittoria atlantica

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Comments 1

  1. Domizia Carafoli says:
    11 mesi ago

    La statua è bellissima e ho avuto più volte occasione di rivederla. . Per fortuna è sopravvissuta anche alla “cancel culture” antifascista. Un plauso anche al Fai, di cui mi onoro di essere socia, perché ne diffonde lz conoscenza

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