Luigi Copertino è un affermato saggista, un apprezzato articolista e un intellettuale dalla vasta cultura. Il suo ultimo saggio Drieu la Rochelle. Il socialismo, il fascismo, il totalitarismo, edito da Solfanelli, fa parte della collana “Intervento” della casa editrice abruzzese. Un termine – intervento – decisamente azzeccato per il pamphlet di Copertino, capace di gettare nuova luce su un autore tanto raffinato quanto fuori dagli schemi.
L’Autore si cimenta nella non facile avventura di tenersi in equilibrio tra un’accurata analisi delle principali opere di La Rochelle e la loro trasposizione sull’attuale quotidiano.
E’ persistente, lungo tutta l’opera, un fil rouge che accomuna quella letale sensazione di inappartenenza di quel Drieu “anarco-fascio-comunista” e il lettore che abita, suo malgrado, la postmodernità, proprio perché, come ricorda il Copertino nell’introduzione, “Drieu La Rochelle è stato un inquieto testimone della decadenza moderna dell’Europa ed ha creduto che il totalitarismo politico, rosso e/o nero, potesse riaprirle la via del recupero della Tradizione, tuttavia non nell’impossibile ritorno al premoderno bensì attraversando il deserto nichilista della modernità per superarla e ritrovare lo Spirito alla fine della traversata nelle desolate terre occidentali del nulla”.
In queste lucide parole ritroviamo il condensato dell’opera del Nostro, a ricorrere saranno, infatti, termini che hanno una valenza incontestabilmente metatemporale. Con una certa disinvoltura l’Autore, seguendo l’opera di La Rochelle, integra approfondimenti sul portato metastorico e metapolitico del concetto di Tradizione, tenendo ben stretta a sé, quasi fosse una compagna di viaggio destinata forse ad abbandonarci al termine di questa maledetta notte, la decadenza, quel declivio a cui la storia, attraverso i suoi moti sconosciuti e carsici, ha ricondotto l’attuale postmoderno, attraverso una serie di sconvolgimenti manifesti ma anche illusori, esoterici e essoterici, sommovimenti gnostici e scorci Illuminati. A pensarci bene, potremmo cominciare a usare la “d” maiuscola quando tiriamo in ballo la Decadenza, proprio perché solo conoscendo il portato qualitativo del male si può prendere contezza della necessità quantitativa del bene.
Nel pamphlet non si può poi non far menzione all’Europa, a quella casa comune dalle origini millenarie, le cui fondamenta, all’epoca della penna di Drieu, cominciavano visibilmente a scricchiolare e non esclusivamente, come si potrebbe pensare, a causa di un eventuale Nuovo Ordine Europeo di matrice tedesca, impianto che, a discapito delle derivazioni ordoliberiste contemporanee, riscontra nella sua contemporanea e potenzialmente fatale latenza la vera causa dell’inesistenza sull’infuocato scacchiere internazionale della stessa Europa definita, molto acutamente, dallo storico Franco Cardini “un gigante economico e un nano geopolitico”. E in tema di Decadenza dell’europeo, ben riscontrabile, tramite dati pubblicati recentemente, nell’assoluta indifferenza rispetto all’eventuale difesa della propria Patria, sempre che si abbia contezza dello stesso termine, è lo stesso La Rochelle, in un estratto comparso nel 1940 su La Gerbe e provvidamente citato da Camilla Scarpa, titolare della casa editrice Aspis Edizioni che del La Rochelle ha già dato alle stampe Intermezzo romano: “Noi non ci siamo aiutati affatto, in maggio-giugno, ma per nulla proprio. Perché avevamo troppo la percezione della comodità. Un popolo che non ha che il senso della comodità non si predispone a nulla di ciò che è la vita, la vita vera. Non erano i nostri istitutori, né i nostri professori, che potevano insegnarci cosa fosse la vita. Ci parlavano di progresso, della pace perpetua, del comfort definitivo per l’intera umanità. Ma la vita su questo pianeta non è così: ci sono dei terremoti, delle mareggiate, dei cicloni, delle tempeste, degli incendi, delle epidemie, delle difficoltà sociali, coniugali, ecc… La vita non può certo essere tranquilla e comoda dalla nascita fino alla morte – altrimenti rassomiglierebbe alla morte…”
Ma è anche il nichilismo, rispetto alla cui gradazione attiva o passiva manteniamo una distanza cautelativa, un altro prestigioso compagno di viaggio, perché è sul senso dell’esistenza che alla fine dei conti si spacca la via dell’uomo, sul cui percorso, da religiosus a fluidificante dell’attuale distopia vigente, si disquisisce, più o meno amichevolmente. Decadenza e nichilismo corrono quindi fianco a fianco e rispetto a questi compari della dissoluzione aleggia uno dei termini più insidiosi e scivolosi di sempre, quello di libertà che il Drieu in Socialismo fascista declina in chiave libertaria: “La libertà è sfinita, l’uomo deve ritemprarsi nelle sue più oscure profondità. Sono io a dirlo – io, l’intellettuale, l’eterno libertario”.
Il rifiuto dell’ineluttabilità del nichilismo è uno degli aspetti da tenere presente quando si legge Copertino, proprio per la sua solida fede cattolica che, a dispetto di un affresco apparentemente sconfortante, le cui tonalità vengono prese in prestito dalla variegata e spesso – forse per i distratti o forse per la stessa complessità umana – contradditoria opera rochelliana e trasposti sull’oggi attuale, lo scorcio che Copertino lascia intravedere custodisce contemporaneamente le venature del tragico e la serenità del non praevalebunt.
Al tempo stesso le inquietudini di Drieu prima e durante conflitto, allo scorgere del finis europae, hanno vibrazioni simili nel presente. Se infatti La Rochelle romanzava – si veda Gilles – e si interrogava, flirtando con i fascismi, in cui giustamente intuisce e apprezza l’afflato spirituale, in una dissertazione su Socialismo fascista in cui affronta il rapporto inevitabilmente di scontro con quella che il Copertino definisce “una concezione liberista ed internazionalista dell’economia” scrive: “I grandi capitalisti in Germania e in Italia si rassegnano ad essere dei commissari del popolo per l’economia ma commissari lautamente pagati (…). Non sono più proprietarie nemmeno i padroni che la critica marxista denunciava: sono alti funzionari, non per diritto di eredità ma reclutati per cooptazione, che dividono prestigio e influenza con i loro sorveglianti statali. Ecco la piega che le cose sembrano prendere al momento. La conserveranno? I fascisti … dicono di no. Noi galvanizzeremo questo organismo modificandolo – affermano – lo impregneremo del senso dei valori spirituali che abbiamo riconquistato, sostituiremo la molla del lucro con quella del dovere. In fondo essi tendono a una concezione spirituale ed estetica della società.” Se poi intendiamo – e non potremmo fare diversamente – il fascismo come fenomeno prettamente europeo capace di prendere contezza del pernicioso declivio in cui il Vecchio Continente si era innestato non possiamo non prendere in prestito le immortali parole di Adriano Romualdi: “Il fascismo, nel suo significato europeo, fu la coscienza istintiva della decadenza cui andava incontro l’Europa e la volontà di porvi rimedio con mezzi totali e violenti. “
Drieu La Rochelle poi, in ultima battuta occhieggiò anche al comunismo, definendo quello russo come “fucina di una nuova aristocrazia”, profetizzando quasi disperatamente, sebbene con aristocratico distacco, sulla ricerca di quegli antidoti utili (o necessari?) ad arrestare una così evidente Decadenza, proprio perché è ad immergersi nell’abisso del reale che si entra in contatto col suo autentico portato ed è ciò che sconvolge, che sommuove che smembra l’uomo in un bivio: disperazione o speranza. “Dopotutto… sono un uomo in preda al problema totale.”
Ma c’è altro, perché anche dopo un crocevia possono attenderci ulteriori diramazioni, oltre al bianco e al nero esistono altre sfumature e Drieu La Rochelle questo lo avvertiva, come acutamente ci espone il Copertino, e lo percepiva attraverso quel tentato recupero del sacro percepito a più richiami, come le parole vergate in Socialismo, Fascismo, Europa, rianimazione della Tradizione per arginare la disperazione: “Quando esaminiamo i monumenti che ci restano di quell’epoca, scopriamo una stupenda espressione di forza e di allegria nei corpi. La si può cogliere nell’architettura, nella scultura, nelle miniature, nella poesia e nella filosofia religiosa. Quei castelli e quelle cattedrali non possono essere state costruite da gente debole e triste. Nell’armonia delle cattedrali c’è nello stesso tempo una ragione naturale e un’audacia, che non può essere attribuita solo a una fede soprannaturale, ma a una fiducia nella vita, a una gioia di vivere, a un’affermazione esuberante dell’attimo, dell’hic et nunc.”
Un recupero del sacro intriso da una decisa sferzata di volontà e non potrebbe essere diversamente perché è lo stesso Autore che definisce La Rochelle il “Nietzsche della sua epoca”, una riesumazione che però dalla prospettiva coerente del Copertino deve solo corrispondere a quella della Chiesa Cattolica di Roma. Capita che anche gli abissi si capovolgano e a scrutarne le fondamenta si venga colpiti da irresistibili vertigini, così di fronte a ciò che appare scontato e ineluttabile ci si ritrova nuovamente a un bivio in cui la scelta reclama un estremo cenno culminato nell’ultimo, tragico, gesto di Drieu notoriamente coinciso col suicidio, perché a volte la vita la si può abbandonare e altre volte la si può invece lasciare.
Come testimonianza.
Analisi largamente condivisibile, l’autore giustamente individua la cifra di Drieu nella decadenza, nel rifiuto del nichilismo, nella ricerca del sacro e nel mito dell’Europa. Non condivido però la definizione di anarco-fascismo, nulla fu più distante da Drieu dell’anarchismo, forse è meglio parlare di socialismo fascista o di fascismo verde. Quanto alla tentazione comunista di Drieu fu comunque di breve durata, fatta più épater les bourgeois che per vera convinzione, come è facile accertare leggendo il Diario.