La stampa nostrana ha commentato con sorpresa la grande prevalenza numerica dei tifosi albanesi rispetto a quelli italiani sugli spalti dello stadio di Dortmund, in occasione del recente incontro fra le due Nazionali di calcio valido per il campionato europeo. Il colpo d’occhio era notevole: le maglie rosse sugli spalti sovrastavano di cinque-sei volte quelle azzurre. Eppure gli italiani che risiedono in Germania sono molti di più dei pur numerosi albanesi: circa 700.000 contro 450.000. Perché, dunque, questo apparente controsenso?
In realtà, chi segue in TV le trasferte degli azzurri riscontra spesso tale tipo di situazione: basti pensare alla grande predominanza di sostenitori sudamericani in occasione degli incontri amichevoli di qualche mese fa negli Stati Uniti fra la nostra Nazionale e quelle di Venezuela ed Ecuador. Eppure anche gli States, come la Germania, sono sempre stati per noi grandi terre d’emigrazione.
Quali sono allora le ragioni di questa evidente inferiorità? Iniziamo col dire che la nostra emigrazione sta invecchiando praticamente dappertutto. Gli italiani che oggi vivono all’estero hanno lasciato la penisola prevalentemente negli anni Sessanta e Settanta; a loro volta, i discendenti hanno via via diluito la propria italianità, per integrarsi e scalare i gradini delle società locali meglio di quanto avessero potuto fare i padri e i nonni. Ciò è avvenuto soprattutto in Europa, dove le dure condizioni di vita e di lavoro – e spesso lo scarso spirito di accoglienza – hanno causato ai nostri connazionali innumerevoli fatiche e umiliazioni.
E’ evidente che persone troppo anziane non possono andare allo stadio; come probabilmente poco ci vanno, almeno per sostenere l’Italia, i loro figli e nipoti, che magari si sentono ormai più tedeschi, o svizzeri, o belgi, che italiani.
C’è di più, probabilmente: e riferisco qui un’esperienza personale. Appena giunto a Berna nel 1999, come console d’Italia, effettuai la mia prima uscita istituzionale in occasione dei Giochi della Gioventù, manifestazione sportiva per i ragazzi italiani indetta dai locali Comites (Comitati degli Italiani all’Estero). Mi colpì molto, in quell’occasione, il fatto che le note dell’Inno di Mameli venissero sovrastate dal chiacchiericcio ad alta voce e dalle risate del pubblico, quasi interamente italiano. Ci trovavamo al Wankdorfstadion, per gli appassionati di calcio un vero e proprio tempio, quel giorno del tutto “desacralizzato” dal comportamento dei nostri connazionali. Per fortuna il Sindaco di Berna, che aveva graziosamente concesso lo stadio alla comunità italiana, non ritenne di intervenire alla manifestazione, risparmiando così al povero console l’inevitabile brutta figura.
Mi resi poi conto in diverse altre occasioni che, per molti dei nostri connazionali in Svizzera, l’Italia non rappresentava tanto la patria, quanto spesso un fardello di cui liberarsi o, nel migliore dei casi, un simpatico optional. Essi volevano in realtà de-italianizzarsi per diventare (quasi) elvetici: come Nino Manfredi che, nello splendido film “Pane e cioccolata” di Franco Brusati (1973), si tinge i capelli di biondo – salvo ricredersi, lui sì, proprio in occasione di una vittoria calcistica italiana.
Tutto comprensibile, se pensiamo ai veri e propri soprusi che la nostra comunità in Svizzera dovette subire per decenni: ma molto triste, anche perché lo scarso interesse verso il Paese di origine da parte della maggioranza degli italiani residenti nella Confederazione ha di fatto lasciato campo libero ai componenti del ristretto gruppo dirigenziale dei Comites e delle varie formazioni politico-partitiche, veri e propri “professionisti dell’emigrazione”.
Possiamo quindi forse meglio comprendere perché a Dortmund gli italiani di Germania – che con quelli di Svizzera hanno condiviso le difficoltà dell’emigrazione in terre non sempre accoglienti – si siano dimostrati poco “caldi” nei confronti della nostra Nazionale di calcio, facendosi ampiamente sovrastare dall’appassionato tifo albanese. Speriamo per il futuro, senza farci troppe illusioni, nella “nuova emigrazione”, formata da giovani qualificati e acculturati che, secondo i dati più recenti, tendono in questi anni a stabilirsi all’estero. E speriamolo non solo per il calcio.
Non ho simpatia per gli emigrati, non ho simpatia per chi lascia la propria terra d’origine. E comunque unirsi attorno alla nazionale di calcio non è patriottismo, anzi, è per lo più roba da tifoso occasionale. Meglio non dover assistere a parrucche tricolori e altre amenità.
Nessuna particolare sorpresa per chi è stato a lungo, come il sottoscritto, Console d’Italia all’estero. I nostri connazionali all’Italia ‘chiedono’, sono poco disposti a ‘dare’. Mirko si illudeva….