Lo diceva Mirandolina che le donne sono “la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre Natura”, figuriamo se avesse avuto l’occasione di assistere al Miles Gloriosus, allestito da Leo Muscato per la 59a Stagione delle Rappresentazioni Classiche al Teatro Greco di Siracusa.
Un’immersione totalizzante nel teatro plautino ed elegantissimo omaggio al comico nella pura accezione di rovesciamento del reale. D’altronde Goldoni deve molto alla commedia di Plauto e soprattutto a Miles Gloriosus del quale riprende le scene metateatrali: la replicazione della coppia Acroteleuzio- Mildifippa/Ortensia e Dejanira proprio in “La locandiera”.
Donne, dunque. Donne che riempiono la scena, armate (non si fa per dire) di tutta la grazia, l’autoironia, la duttilità, la versatilità di cui le donne sono capaci. Per natura. L’intuizione di Leo Muscato di mettere in scena un cast tutto femminile non è originale: è felice. Felice non tanto per l’azzeccata scelta delle attrici, quanto per l’idea di regia talmente forte da creare essa stessa una nuova epistemologia del femminile: un femminile avocalico. Non è con la desinenza che le donne conquisteranno il mondo, ma con l’esserci, nel mondo. Esserci con la forza di quarantasette attrici che riempiono la scena mondo di Muscato in cui tutto è il contrario di tutto, dove anche la misoginia, messa in bocca alle donne, svela il suo anacronismo con profonda leggerezza. Muscato, che inaugurerà la stagione 2024 di La Scala di Milano con “La forza del destino”, maneggia la materia comica con estro e sapienza. La norma bachtiniana del rovesciamento attraversa ogni livello della sua regia, colta e divertente. Colta, per una serie di rimandi che mettono Plauto al centro dello sviluppo del genere commedia, dove la critica, solo fermandosi a Miles gloriosus, l’ha collocato: tra l’anonima A’λαζών (Lo Smargiasso) e Menandro e la tradizione che va dal Rodomonte di Boiardo e Ariosto al Falstaff di Shakespeare, dal Matamoros al pedante di Cyrano de Bergerac fino all’esperimento in romanesco di “Il vantone” Pasolini.
Colta per le citazioni contemporanee, Acroteleuzio di Deniz Ozdogan (qui maestra di sensualità comica) è il pink power della Barbie di Greta Gerwing, e citazioni di cronaca: Pirgopolinice di Paola Minaccioni è il sempiterno dux, più inquietante di quello di Umberto Eco proprio perché più ridicolo.
Minaccioni è perfetta nel suo personaggio, in cui ha riversato tutta l’esperienza conferendo alla maschera di Pirgopolinice quel tratto malinconico che lo fa contemporaneo, oltre alla capacità di abbattere la parete tra la cavea e la scena chiamando il pubblico al tifo per quel personaggio tanto gonfio di sé da far traboccare l’ego fino ai gradoni del teatro.
Le citazioni che si armonizzano con quelle proprie del testo di Plauto, su tutte il rimando a “Elena” di Euripide per l’inganno della partenza dell’amante del fanfarone Ficolomasio (Gloria Carovana ovvero l’ironia) con il suo giovane innamorato Pleusicle (Arianna Primavera, perfetta nella maschera del giovane innamorato un po’ babbeo). La forza dello spettacolo di Muscato è la spettacolarità, raggiunta non con iperboli sceniche ma con il far rivivere totalmente lo spirito plautino che trova nella beffa il motore drammatico del risum movere.
La commedia
Miles gloriosus è considerata il capolavoro di Plauto. Il titolo indica la maschera fissa del soldato fanfarone, stupido e spocchioso. Già dall’entrata in scena insieme ad Artotrogo (Alice Spisa) “Avanti, Forza, il mio scudo deve risplendere e risplendere” fino alle ultime parole quando, legato al palo e a rischio evirazione, si vanta ancora di essere nipotino di Venere e Marte. Vincitore di rocche è la traduzione letterale del suo nome Pirgopolinice, tipico nome parlante. La trama è esile ed è giocata sull’inganno del servo del fanfarone Palestrione: Giulia Fiume è il servus come Plauto l’aveva pensato. Il servo riesce a riportare Ficolomasio, rapita da Pirgopolonice, dal suo ex padrone Pleusicle, l’innamorato della giovane, e ottenere per sé la libertà. La commedia in cinque atti (qui scanditi dai movimenti della scenografia) presentava il doppio argumentum eliminato da Muscato e una trama con alcune incongruenze, di cui l’inganno con le gemelle è il più vistoso. Muscato ne ha fatto una gag esilarante che non frastorna il pubblico né rallenta l’azione. Anzi permette a Francesca Mària di essere un divertentissimo Sceledro alle prese con Periplectomeno, il dirimpettaio di Pirgopolinice nella cui casa i due amanti s’incontrano per gabbare Pirgopolinice. O la scena superflua di Lurcione, il soldato ubriaco, resa deliziosa dalla brava Ilaria Ballantini. Miles gloriosus è una grande metafora dell’inutilità della guerra e il personaggio di Periplectomeno (istrionica Pilar Perez Aspa) ne è il climax: reduce di guerra, scorrazza sulla sedia a rotelle da cui non disdegna di alzarsi all’occorrenza.
Il coro dei mercenari di Pirgopolinice passa più tempo ad allenarsi, a cucinare e a fare massaggi che in armi, anzi usa le armi per giocare, per stuzzicarsi o per fingere rigore davanti al generale ma essere ubbidiente al servo. Comicità, ironia e surrealismo come gradazioni dell’umano impazzare nel gioco della guerra. Che ne sarebbe della guerra tra i popoli se Venere avesse davvero sconfitto Marte accucciandolo nel suo grembo? O della guerra tra i sessi se una risata ne svelasse l’assurdità? Se “il comico non esiste al di fuori di ciò che è propriamente umano” (Henry Bergson) , l’operazione di Muscato è un affresco umano universale. Tutto appare com’è: un’enorme pupazzata, avrebbe detto Pirandello e di certo Muscato se ne è ricordato quando ha allestito questo spettacolo, che si avvale della drammaturgia di Francesco Morosi e della traduzione di Caterina Mordeglia.
La traduzione
Difficile è tradurre Plauto. La lingua è la casa della sua comicità: composita, scoppiettante, insolente. Plauto è maestro di neologismi e parole composte, lo diverte l’onomastica e far preda di arcaismi e grecismi. Difficile è restituire quella comicità di parola, senza arrendersi alla contemporaneità. Qui sì che va bene “cianciare” tanto inappropriato nella traduzione di Vecchioni di “Prometeo” della stagione scorsa. Mordeglia ha scritto una traduzione capace di esaltare la classicità del testo: rinuncia all’arditezza (sonnio/somnium o bellissima bellezza o “Milfidippa chiamatemi milfa” sono elegante prudenza) ma punta sull’allusione tra lessico erotico e militare, lasciando alla gestualità, oltre che di Minaccioni e Ozdogan anche di Anna Charlotte Barbera (Milfidippa), un esplicito comunque misurato (dito medio e peto una sola volta, orgasmo da ridere più che da sospirare) e la vivacità al debordante eloquio dei personaggi. Il risultato è una lingua limpida e d’effetto, come l’allestimento.
L’allestimento
Miles gloriosus di Muscato ha il suo punto forte nell’aver restituito al Teatro Greco di Siracusa la commedia, come non se ne vedevano dai tempi di “Le rane” di Barberio Corsetti. Ma Muscato si è spinto un po’ più avanti: là erano Ficarra e Picone a spingere la vis comica, qui è tutto il cast. Non solo le splendide attrici e il coro (vanno nominate tutte Elena Polic Greco, Ginevra Di Marco, Sara Dho, Alessandra Fazzino, Valentina Ferrante, Diamara Ferrero, Valeria Girelli, Margherita Mannino, Stella Piccioni, Giulia Rupi, Rebecca Sisti, Silvia Valenti, Irene Villa, Sara Zoia, insieme alle allieve dell’Accademia del Dramma Antico) diretto da Francesca Della Monica ma anche le scene, i costumi e le musiche. Federica Parolini firma le scene di Paluto, pardon Muscato. Lapsus innocente, visto che Muscato anche qui si è incarnato in Plauto e nella sua visione di scenografia. I periaktoi, prismi triangolari che delimitavano lo spazio, sono sacchi di iuta pieni di sabbia che incorniciano la terza porta plautina, chiaro elemento di travisamento della macchina teatrale. Le due porte sono le tende di Pirgopolinice e Periplectomeno e la piazza è una piazza d’arme al cui centro sacchi di iuta reggono l’asta della bandiera, meglio il palo di una lap dance.
L’accampamento è un camping i cui colori sgargianti (rosso, giallo e qualche punta di rosa per mettere a gambe all’aria il verde maschio militare) accendono la scena fino al rosso finale. Ossimoro visivo e di senso cacciar via il grigio della morte e dell’odio. Silvia Aymonino si sbizzarrisce con costumi coloratissimi e beffardi e soprattutto con gli oggetti di scena che fanno del dettaglio la didascalia al testo: uno su tutti la banana al posto della pistola. Come le acrobazie e i movimenti coreografici di Nicole Kehrberger che esaltano lo spazio occupando sia tutta la scena e sia occupando i tempi inutili di un inutile esercito. Marcia e marcetta, fanfare e versi di animali, suoni di tromba e armonie: le musiche di Ernani Maletta fanno la festa. Una polifonia strumentale e vocale (bello sentire la lingua latina nel teatro dei greci) che fa da tappeto alla polifonia propria del Miles gloriosus. Commedia del molto: personaggi, fatti dentro l’azione principale, contaminazioni.
Plauto voleva far ridere era amato per questo. Muscato vuole fare ridere e lo fa rovesciando tutti gli stereotipi persino la misoginia plautina “Brutte bestie le donne…e per forza, hanno a che fare con gli uomini” e il pubblico l’ha amato per questo, tributando a lui e alla compagnia cinque minuti di applausi e di gioia. Vuol far ridere tanto che come ogni comico che si rispetti mette in scena l’elemento bizzarro. Qui è una scimmia. Nel testo di Plauto è un dettaglio molto secondario, quasi invisibile. Qui, per un gioco tra lui e il drammaturgo, è diventato un personaggio quasi sempre in scena, tecnicamente l’attributo del fanfarone. La scimmia non è un animale ma è un’ attrice eccezionale Valentina Spalletta Tavella che, maschera in viso e coda sulla schiena, regge lo straniamento dello spettacolo. Di Chuck Palahniuk è la raccolta di racconti “La scimmia fa, la scimmia pensa”, libro con un sottotitolo “Quando la realtà supera la fantasia”. Si, proprio così, caro Plauto, caro Muscato.
Foto di Michele Pantano