Comisso è stato un intellettuale in apparenza solitario, legato alle radici di un territorio (il Veneto), da cui provengono grandi letterati, come Goffredo Parise, Giacomo Noventa, Nico Naldini e Andrea Zanzotto (per citarne alcuni). Per descrivere il Comisso uomo e scrittore sono stati evocati i nomi di Casanova, Stendhal e D’Annunzio. Uno dei maggiori scrittori del nostro tempo, Alberto Arbasino, riconobbe in lui uno dei suoi maestri inserendolo nell’albero genealogico della sua famiglia letteraria: a fianco di Moravia, Soldati e Brancati (i padri); Gadda e Palazzeschi (gli zii anziani); Bassani e Flaiano (gli zii giovani).
Due furono con ogni certezza gli eventi che segnarono la vita di Giovanni Comisso: la Grande Guerra e l’Impresa di Fiume. A fianco di D’Annunzio (del quale fece sua la «lezione di stile» e «la chiarezza poetica», così ebbe a dichiarare) fu sino alla mattanza del “Natale di sangue” combattendo «come se si fosse trattato d’una ripresa della guerra». In questi giorni concitati, si legò in particolare allo scrittore americano Henry Furst, a Léon Kochnitzky, raffinato esteta di origini russe e a Guido Keller, stravagante esemplare di soldato, che amava posare come un tritone, con il quale nell’estate del 1920 veleggiò tra le isole del Quarnaro trascorrendo giorni indimenticabili, da cui trasse ispirazione per alcune fra le pagine più belle de Il porto dell’amore (1924)
Prima d’incrociare D’Annunzio nel suo cammino, nel 1914 si era arruolato volontario per un anno al corso Genio telegrafisti di Firenze; il suo percorso scolastico non era stato dei migliori, essendosi concluso con una bocciatura alla maturità, di qui la decisione di arruolarsi. Nel 1924, dopo le esperienze segnanti della guerra e di Fiume, riprese gli studi e si laureò in legge. Peccato che fu poi bocciato agli esami di abilitazione; la carriera d’avvocato non era del resto nelle sue corde, come avrà ad ammettere nel 1927, rispondendo all’invito di Giorgio Pini, direttore de «L’Assalto», che aveva da poco inaugurato una rubrica di “autobiografie”:
Mi ero laureato a Siena in legge, ma gli articoli del codice mi pesavano come condanne. Cercavo di scoprirvi tra le righe motivi poetici. Trovavo che la riga dell’articolo 30 del c.p. “Ogni giorno di pena è di 24 ore” corrispondeva a questo verso del Petrarca: “Tutto il dì piango”. Esasperato dalla vita tra la carta bollata e i codici tentai la salvezza in ciò che fin dalla giovinezza mi aveva dato la più alta speranza.
Cominciò a scrivere: prima per i giornali locali; poi, i ricordi della guerra e di Fiume lo spinsero a «tentare un libro». Stava maturando Giorni di guerra, che viene ora riproposto all’interno di un piano editoriale volto a riportare alla luce le opere dello scrittore trevigiano. Come nei casi precedenti di Gioventù che muore, Gente di mare, Un gatto attraversa la strada e Cribol, anche questa pubblicazione è inserita nella collezione “I libri di Comisso” della Nave di Teseo ed è arricchita da una prefazione di Paolo Di Paolo, oltre che nel caso specifico da una postfazione di Benedetta Centovalli.
Libro di ricordi, scritto nel 1919, ma uscito solo nel 1930, e poi ampliato fino all’edizione definitiva del 1965, in esso la guerra è presentata «come fonte di emozioni e avventure» (C. Segre).
Diviso in cinque parti, che coprono l’intero periodo della Grande Guerra, racconta il vissuto di un soldato del genio, che si guadagna sul campo il grado di ufficiale. Come il Serra di Esame di coscienza di un letterato, Comisso dice sì all’ora di passione della guerra. La guerra è un’opportunità di vita e va colta se non si vuole invecchiare senza aver pienamente vissuto. Non si tratta di una scelta etica. Non è un sacrificio indispensabile, ma una scelta esistenziale. Non è una fede, ma una voglia («si ha voglia di camminare, di andare», scriverà Serra), che nasce dall’esigenza di ritrovare il contatto col mondo e con gli altri uomini. Privo di eccessi di retorica patriottica, senza per questo essere antimilitarista, il Comisso di Giorni di guerra pare animato proprio da questa esigenza di vivere fino in fondo, con la stessa ebbrezza del primo fortunato sogno d’amore.
A proposito di Giorni di guerra, si è fatto nel tempo il nome di Stendhal. È all’autore della Certosa di Parma, ha osservato Giacinto Spagnoletti, «che si ripensa di continuo, leggendo questi ricordi ancora così annodati ad esperienze reali, da sembrare appunti scritti in giornata» . Dello stesso avviso fu Gianfranco Contini, che volle sottolineare lo «stendhalismo originario» di Comisso, invitando a mettere accanto al Waterloo della Chartreuse il Caporetto di Giorni di guerra.
*Giorni di guerra, Giovanni Comisso, prefazione di Paolo Di Paolo, postfazione di Benedetta Centovalli, con una nota di Giacomo Carlesso, La nave di Teseo, Milano 2024, pp. 240, euro 20,00.