Non sembra smorzarsi l’onda lunga del futurismo, che ha visto, nell’anno appena trascorso, numerose mostre pubbliche e private dedicate al movimento marinettiano: da Palazzo Zabarella a Padova a Palazzo Lanfranchi di Matera, dal Palazzo delle Paure a Lecco alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo (Pr), dal Museo del Novecento di Milano a Palazzo Medici Riccardi di Firenze, solo per citare le maggiori. A Roma, mostre futuriste hanno trovato ospitalità nella Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, alla Galleria d’arte moderna e al MaXXI (che ha anche curato l’apertura di Casa Balla).
L’interesse sul tema è ancora talmente forte che, nel prossimo ottobre, è prevista l’apertura di una grande mostra, “Il tempo del Futurismo”, nella Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea di Roma, a cura di Gabriele Simongini (docente presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e critico del quotidiano “Il Tempo”), con la collaborazione di Alberto Dambruoso. A promuovere l’evento il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, impegnato a rimarcare il valore della nostra Storia culturale, anche quella legata al più longevo e più cosmopolita movimento italiano d’avanguardia.
In attesa di conoscere i tratti distintivi di questa ennesima “riscoperta del futurismo”, serpeggiano tra gli studiosi – così come riportato dal “Giornale dell’Arte” – numerosi interrogativi. Si chiede Guglielmo Gigliotti: “Riconsiderare i rapporti tra l’avanguardia artistica e il regime mussoliniano farà veramente bene all’immagine dei cantori della velocità e della modernità, già da tempo sdoganati dal retaggio politico presente in talune opere, per una ricontestualizzazione puramente storica e culturale (promossa peraltro da studiosi ‘di sinistra’)” ?
I pregiudizi
Il tema non è “sdoganare” il futurismo rispetto alla pregiudiziale antifascista. Né ovviamente immaginare un revival fascio-futurista. E neppure – citiamo le parole di Claudia Salaris, grande studiosa del futurismo – ridurre la questione alle diatribe politiche e giornalistiche di oggi.
Proprio in ragione dei pregiudizi, tutti politici, che hanno accompagnato, nel dopoguerra, la lettura dei rapporti tra futurismo e fascismo, al punto da determinare una vera “damnatio memoriae” del futurismo, considerato allora una retroguardia retrograda di un’ideologia condannata e da rimuovere, sarebbe, oggi, un controsenso creare una vera e propria antitesi tra futurismo e fascismo, salvando il primo in ragione di una sua presunta opposizione al secondo, fino al punto da negare un valore politico al futurismo.
“Il futurismo che fino ad oggi esplicò un programma specialmente artistico, si propone una integrale azione politica per collaborare a risolvere gli urgenti problemi nazionali” – scriveva, il 20 settembre, 1918 Emilio Settimelli, sul primo numero di “Roma futurista”. I temi, via via sviluppati sulla testata: trasformazione del Parlamento mediante un’equa partecipazione di industriali, di agricoltori, di ingegneri e di commercianti al Governo del Paese; il limite minimo di età per la deputazione ridotto a 22 anni; l’azionariato sociale; la riforma fondiaria; la parità dei sessi nel lavoro e nella partecipazione alla vita politica del paese; l’abolizione della leva militare.
Nel novembre 1919 Marinetti è inserito (al numero due dopo Mussolini) nella lista elettorale del “blocco fascista”. A Fiume il futurista Mario Carli dirige il foglio “La Testa di Ferro”, su cui Marinetti plaude a D’Annunzio, “liberatore” della città. Nel maggio 1920 Marinetti e alcuni capi futuristi escono tuttavia dai Fasci di Combattimento, “non avendo potuto imporre alla maggioranza fascista la loro tendenza antimonarchica e anticlericale”. Il distacco durerà cinque anni.
Marinetti il “distruttore delle accademie”, entrerà poi nell’Accademia d’Italia, mentre agli artisti futuristi si apriranno le grandi mostre e le committenze di Stato. Nessuna “istituzionalizzazione” però dell’avanguardia nell’”ordine fascista”. Come ha scritto il critico Enrico Crispoldi (Appunti riguardanti i rapporti fra futurismo e fascismo, in Arte e Fascismo in Italia e Germania, Feltrinelli, 1974): “In questo senso è politicamente inammissibile e culturalmente scorretta una liquidazione del Secondo Futurismo in quanto collusivo tout court con il fascismo”.
Il futurismo fu certamente interno al fascismo, mantenendo però una sua autonomia rispetto al Regime. Si pensi alla polemica rispetto all’arte di Stato, di stampo nazista, un tema che la mostra romana potrebbe approfondire in ragione del tentativo marinettiano di fare recepire le avanguardie al nuovo regime tedesco (con una provocatoria mostra di aeropittura, organizzata, a Berlino, presso la Galleria Flechteim, nel 1934) dovendo poi, alcuni anni dopo, fare i conti con gli ambienti filonazisti italiani, contrari all’avanguardia.
L’arte – si dice – non è in sé politica, l’arte è arte. Ma può il futurismo, proprio per la sua complessità, essere rinchiuso nei confini di un movimento meramente artistico ? Evidentemente no, nella misura in cui il movimento marinettiano è ben segnato da contaminazioni politiche fin dalle origini e poi nel suo complesso manifestarsi, per arrivare all’epilogo, alla morte del suo fondatore, nel 1944, dopo la sua adesione alla neo-costituita Repubblica Sociale Italiana, un’adesione tutt’altro che formale, vista l’ultima opera poetica marinettiana, pubblicata postuma, non a caso intitolata Quarto d’ora di poesia della X Mas.
Da queste rapide e sommarie citazioni emerge – a differenza di quanto afferma certa critica –un’immagine tutt’altro che “stanca” e “al tramonto” del futurismo, il quale pare impegnato a “reinterpretare” la sua volontà modernizzatrice anche all’interno dei nuovi contesti politici.
A confermarlo quanto scriveva in pieno Regime (sulla rivista Futurismo, 12 marzo 1932) Bruno Corra, uno dei teorici del Teatro futurista sintetico e della cinematografia futurista: “… Bisogna dire che nel nostro movimento i termini di sinistra e destra non si oppongono, perdono cioè il loro significato convenzionale. La mentalità supera il contrasto fra il sovvertimento e la conservazione, in quanto si libera di continuo in uno slancio creativo”.
Si tratta di una prospettiva interpretativa che può valere anche oggi, dando finalmente al futurismo ciò che appartiene al futurismo, fascismo compreso. Senza pregiudizi ed annacquamenti fuorvianti.
Mario Bozzi Sentieri
Non credo proprio che il Futurismo fu interno al Fascismo.
In primo luogo perché nacque un decennio prima del movimento delle camicie nere, in secondo luogo perché il Suo fondatore – e tutti coloro che ne furono liberamente partecipi – per avendo condiviso con il movimento fascista varie battaglie, specie nel primo dopoguerra, non era personaggio organico a partiti o movimenti.
Pertanto, il Futurismo precede ed attraversa il Fascismo, addirittura sopravvivendogli dopo la catastrofe finale di quest’ultimo.
La grandezza drl Futurismo sta proprio nel fatto di essere stato un’avanguardia culturale libera, apertamente anticonformista, ribelle ed incendiaria, non soggetta ad alcun tipo di condizionamento….altro che le “rivoluzioni” conservative del ’68 e del ’77 i cui leader, protagonisti di una indimenticabile stagione fallimentare, oggi sono degli incalliti liberal radical- socialisti, esaltatori della globalizzazione ammazzapopoli.
Il fatto che oggi, le fra di loro speculari Sinistre parlamentari ed extraparlamentari chine al verbo globalista, per nulla libere, attacchino il Futurismo quale avanguardia culturale libera, mai sottomesso ad alcun potere, quindo neanche al Fascismo, comprova quanto modesramente dallo scrivente sopra argomentato.